Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Una vita in forma di prosa

di Francesca Girardi

La scrittura autobiografica può essere una risorsa preziosa. E può anche trasformarsi in uno strumento narrativo che coinvolge un pubblico ampio. Come accade a Michela Gusmeroli, che fa dei suoi racconti un modo per indagare dimensioni umane in cui tutti possiamo conoscerci, e riconoscerci…

 

 

La scrittura diaristica, o autobiografica. Michela, ci puoi aiutare a comprendere l’importanza di questa scrittura che mi piace definire speciale, intendendo con questo aggettivo la preziosità delle annotazioni di vita.

La mia scrittura, fin dall’inizio, è stata molto personale. Ho cominciato negli anni Ottanta, quando ho sentito un bisogno profondo di creare qualcosa con e per la mia vita. Non è stato un gesto istintivo, anche se la scrittura parte da una spinta interiore. Due le ispiratrici: Carla Lonzi, femminista; Lalla Romano scrittrice. Il Diario di una femminista (stampato in proprio nella edizione originale) di Carla è un’opera fondamentale, da leggere e rileggere per restare in contatto con la sua autocoscienza, che illumina la mia, e quella di ogni donna. È una svolta radicale, un vero scatto nella storia umana, non solo femminile, da cui non si torna più indietro.

 E della scrittura di Lalla Romano, cosa ti ha colpito?

Lalla Romano è stata la prima scrittrice che ho incontrato, dopo essermi trasferita da Sondrio a Milano. Ho cominciato a scegliere i suoi libri dal catalogo Einaudi, quando si vendevano ancora a rate. Sono stata subito catturata dal suo mondo di cose vere, luoghi e legami familiari, vicini ai miei. Raccontati in maniera impeccabile, con una scrittura impastata di riflessione altissima. E ho capito di aver trovato la guida per il mio umile cammino creativo. Le guide ti indicano la strada, ma tu la devi percorrere coi tuoi mezzi, da sola. Quando decisi, infatti, di portarle il mio primo testo, mi accolse molto affettuosamente, dicendo subito: “Non farò nulla per la pubblicazione”.

In un recente convegno hai affermato che scrivere un diario è un’azione tanto semplice, quanto faticosa… Un’azione tanto profonda e, allo stesso tempo, un’azione che necessita di esercizio.

La scrittura del Diario è iniziata quando mi sono trasferita da Milano a Treviso. Lo stacco, abbastanza traumatico, ha determinato le condizioni per affrontare un corpo a corpo più diretto con me stessa. In questo senso il Diario è un esercizio non solo di espressione, ma di identità e unità. Faticoso ma sostanziale, perché raccoglie e salva, come dentro uno scrigno, tante cose che ritengo preziose.

Quanti volumi hai scritto finora sulla tua vita?

La mia scrittura è davvero un unico percorso, suddiviso in tappe diverse. I volumi del Diario, stampati in proprio, finora sono cinque, di 400 pagine ciascuno. Rappresentano la parte più estesa, dove mi sono concessa davvero un po’ di grandezza. Come ha detto la cara amica Antonietta Selvaggio: “Un monumento contro la dissipazione del quotidiano”. Tutti i miei libri contengono la mia vita: descritta, tradotta, trasformata. Ma sempre lei, sempre io.

Quando dici trasformata, intendi una trasformazione di consapevolezza?

La consapevolezza è fondamentale in un doppio senso: perché senza di essa non si può scrivere, e perché la scrittura aiuta ad ampliare la consapevolezza. Quando dico trasformata intendo però un processo interiore più complesso, attraverso il quale ciò che si racconta assume un significato e un modo più immaginativo, archetipico.

Recente è stato il deposito de “I quaderni di Mangiafuoco, Diario di vita e scrittura” presso la Biblioteca del Museo del Diario di Pieve Santo Stefano…

Già negli anni Ottanta nell’Archivio di Santo Stefano ho depositato i primi due testi, scritti a Milano: Non ho più occhi giovani e Una sera dolcissima. Il Diario l’ho depositato nel 2023, ed essendo già stampato è stato messo nella Biblioteca dell’Archivio. È lì, in attesa che qualcuno lo apra e legga qualcosa. Sta lì, sperando che questa emerita Istituzione sopravviva, come tante altre, nelle quali sono state depositate opere che riguardano non solo le storie individuali, ma la Storia generale della nostra cultura.

Da piccola tenevi un diario?

Da piccola ho provato, e ho conservato l’agendina nella quale avevo iniziato un breve resoconto. È il primo seme, caduto in un terreno ancora acerbo, non reso fertile dalla vita, e soprattutto dalla autocoscienza. 

La propria scrittura non sempre matura parallelamente alla vita? Accade che vi siano momenti in cui l’una non riesce a stare al passo con l’altra.

Ho nominato l’autocoscienza, perché è questa la scintilla più importante, che accende il fuoco della scrittura. L’autocoscienza apre uno spazio interiore, dove ciò che accade fuori diventa intimo, davvero personale. Non è un fatto automatico, è una relazione che richiede attenzione e cura, che possiamo decidere di non raccontare. Il Diario è una delle scritture più libere, più aperte, ma questo non significa non fare una scelta, una specie di editing che, vista la complessità del materiale, comporta molta selezione.

Palma Bucarelli, direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, teneva un diario e nell’introduzione scrive che spera che il diario possa essere di sostegno alle generazioni future.

Condividi questo punto di vista?

Non so… non mi piace dare indicazioni così precise. Penso che ciascuno debba trovare da sé ciò che gli può servire. Io ho cominciato a scrivere senza indicazioni, anche se sono stata ispirata da alcune scritture. È questo che bisogna salvare: la presenza e l’accessibilità alle opere. Là dentro c’è tutto.

 

Qual’è stata la motivazione che ti ha portato a scegliere di dedicarti alla scrittura autobiografica.

Come ho detto sono stata ispirata da alcune persone-scritture. Ma in me c’era già una predisposizione alla scrittura personale: preferisco questo termine ad autobiografia. Questa predisposizione riguarda il carattere, la “ghianda” direbbe lo psicologo James Hillman. Una caratteristica individuale, che ha a che fare con la nostra origine più misteriosa.

 

Nel tuo blog si legge: “La scrittura mi ha permesso di avere un rapporto meno distratto con la vita, e dunque quasi con tutto”…

Certamente, poiché se la scrittura parte dall’autocoscienza, cosa mettiamo sotto questa lente? La vita, quasi tutto quello che viviamo – tranne l’inconscio, che appare nei sogni -. 

 

Si avverte un senso di gelosia nel dare alle stampe una narrazione che parla di sé?

No, non ho mai provato questa gelosia. Semmai lo scrupolo di fare un buon lavoro. Ma anche la soddisfazione di avere trovato un mezzo, un modo, per affidare, consegnare la parte più cara, sacra di me. A chi? A una dea benigna, come ho scritto nel racconto Giulia. Questa dea benigna è anche la me stessa più ardita e buona.

 

Potresti parlarci brevemente di questo racconto …

 A proposito di trasformazione: Giulia è un’immagine che mi è comparsa, in modo molto nitido, durante una vacanza a Ventotene, l’isola dove la figlia di Augusto è stata esiliata (secondo l’archeologo Maiuri). Fra me e lei si è creato un contatto profondo, e ha cominciato a parlare, attraverso di me. Il mio analista junghiano l’ha definita il mio alter ego aristocratico. Tutti i personaggi, di racconti e romanzi, sono degli alter ego più o meno camuffati. Parti di quel Sé che comprende tutto: il bene e il male, il bello e il brutto.

 

I titoli di due tuoi recenti lavori, “Come una collana” e “Frammenti di un percorso analitico-amoroso”, mi richiamano l’idea di avere tra le mani le singole parti di un tutto. Mi fanno pensare a come la quotidianità, gli attimi di tutti i giorni siano parte di un disegno più grande, che ha un nome proprio, quello di chi li vive, e allo stesso tempo un valore universale, che accomuna le esistenze. Condividi questa lettura?

Sì, i miei libri sono tutti parti di me. Il tutto che finora ho potuto ca(r)pire e mettere nella scrittura. Una parte piccola ma intensamente vissuta, dentro e fuori. E se qualcosa arriva agli altri ne sono felice. Ma… io resto io, e gli altri altri.