di Francesca Patton
La cura degli altri e la cura di sé sono due aspetti imprescindibili per l’essere umano che desidera evolvere. Lo sapeva bene anche Juddu Krishnamurti, il maestro spirituale i cui insegnamenti sono preziosi più che mai in questo tempo incerto e buio. Ne parliamo con Tommaso Clemente…
Prendersi cura di sé. Farlo qui ed ora, anche se inseriti in una società frenetica che pare inarrestabile. Avere cura di sé e degli altri. Sì, perché, in fondo, di questo si parla quando si nomina Jiddu Krishnamurti. O forse, ancora meglio, si parla d’amore nella maniera più totale a cui si possa pensare.
Lo sa bene Tommaso Clemente, Presidente dell’associazione culturale Iniziative Educative ed organizzatore dell’evento Krishnamurti a Castel Pergine, una tre giorni, svoltasi la prima settimana di ottobre, che ha previsto numerosi incontri di formazione ed esperienziali tenuti dallo studioso di fama internazionale Mukesh Gupta.
Quando incontro Tommaso mi arriva chiaro dal suo sguardo il profondo desiderio di condividere quella straordinaria scoperta che si cela dietro al pensiero rivoluzionario di Krishnamurti. Iniziamo così, con curiosità, la nostra conversazione.
Tommaso, ci può dire chi era Jiddu Krishnamurti?
Jiddu Krishnamurti nacque a Madanapalle (India) il 12 maggio 1895 e morì a Ojai (California, USA) il 17 febbraio 1986. Quando aveva 14 anni venne notato da un membro della Società Teosofica (la Società Teosofica aveva una sede in India), il quale intuì subito che quel ragazzino, gracile e un po’ spaurito, possedeva delle doti particolari. Ottenuto il permesso dal padre, decisero di portare Krishnamurti in Inghilterra per educarlo secondo la cultura occidentale, con l’intento di proporlo come il futuro maestro del mondo. Questo era l’intento della Società Teosofica che, fin dai primi anni, propose Krishnamurti al mondo inglese come relatore in molti incontri in cui dimostrava la sua innata saggezza e capacità di sintesi.
Ma l’intento della Società Teosofica di proporre Krishnamurti come maestro del mondo non ebbe successo, perché, nel 1929, Krishnamurti decise di abbandonare la Società Teosofica, rinunciando a tutti i privilegi che gli avevano riservato, per dedicarsi unicamente e completamente a parlare alla gente, con l’intento di indurre a una riflessione su sé stessi e sulla propria vita. Il suo obiettivo principale era creare persone integre e libere, integre, ovvero consapevoli del proprio essere, libere, ovvero capaci di gestire la propria vita in modo amorevole ed equilibrato, lontano da ogni condizionamento sociale o autoritario.
Come ha conosciuto il suo pensiero?
Ho conosciuto Krishnamurti nella sala d’aspetto del mio dentista, sfogliando una rivista intanto che aspettavo di essere chiamato. In questa rivista trovai una citazione di Krishnamurti che mi colpì moltissimo. E allora mi venne in mente che molti anni fa, un mio amico mi aveva regalato un libro di Krishnamurti, Libertà dal conosciuto, che non avevo ancora letto; ovviamente, quando arrivai a casa, cercai il libro in questione e cominciai a leggerlo. Man mano che proseguivo nella lettura mi rendevo conto che (senza vanto e senza lode) il mio pensare era in perfetta sintonia con il pensiero di Krishnamurti. Inutile dire che, da quel momento in poi, cercai i libri di Krishnamurti: penso di averne letto più di venti, compresa la sua biografia.
Perché un evento in suo onore al Castello di Pergine?
Devo fare una premessa. Da circa 10 anni abito a Pergine e, da circa 10 anni, ho fondato, assieme ad altre persone, un’associazione culturale, che si chiama “Iniziative Educative”, con evidenti fini educativi, come il nome stesso conferma. Dopo circa un anno che abitavo a Pergine Valsugana, venni a sapere che Krishnamurti era stato al Castello di Pergine, nel 1924, per un periodo di riposo dai suoi itinerari in tutto il mondo. Questa cosa mi indusse a pensare che tutto ciò non era un caso (sono assolutamente convinto che il caso non esiste) e quindi, mettendo assieme le cose (educazione + Krishnamurti + Krishnamurti a Castel Pergine + il paese dove abito), la decisione di prodigarmi per diffondere il pensiero educativo di Krishnamurti, venne come conseguenza logica degli eventi sopra citati. Fu la Fondazione Castel Pergine stessa a chiedermi, nel 2022, di organizzare la commemorazione della venuta di Krishnamurti a Pergine, cosa che accettai con molto piacere.
In una società come la nostra in cui si è sempre più proiettati in avanti in termini di progresso e traguardi da raggiungere, che valore ha soffermarsi sul pensiero di Krishnamurti? Cosa può dare a ciascuno di noi?
Premesso che Krishnamurti era principalmente un educatore (non voleva essere definito un filosofo), e premesso che l’essere umano, essendo un essere in evoluzione, da sempre (non solo oggi) necessita di educazione, è chiaro che qualsiasi proposta educativa verso il bene (non si deve trascurare il fatto che si può educare anche verso il male, come succede spesso nel mondo degli uomini) debba essere considerata, sia a livello individuale che a livello sociale. Il problema è saper distinguere quali elementi educativi sono davvero educativi: non solo, ma anche saper distinguere quali educatori orientati al bene sono da ritenersi tali. Krishnamurti diceva che, innanzitutto, bisogna “educare gli educatori”. La capacità di educare di Krishnamurti era, ed è tuttora, a un livello superiore, ed è proprio ciò che, secondo me, necessita all’essere umano in genere, di oggi e di ieri. Perché? Perché Krishnamurti diffonde un’educazione senza tempo, che poteva andar bene sia nel medioevo che nel 2024, dove si pensa all’intelligenza artificiale come a un risultato del progresso psicofisico dell’uomo di alto livello. È indubbio che la tecnologia di oggi abbia raggiunto livelli elevatissimi, ma è anche evidente che ha prodotto disagi psicologici altrettanto elevatissimi nell’essere umano, e non solo in esso. Non si tratta di demonizzare la tecnologia, ma si tratta di non dimenticare la natura dell’essere umano e lo scopo della vita umana stessa. In sostanza, Krishnamurti induceva le persone a compiere un’autoanalisi di sé stessi, con il preciso intento di espandere la conoscenza di sé stessi. Già Socrate diceva che “se non conosci te stesso non sai nulla”; Krishnamurti ha ripreso questo principio universale, che contiene il perché della vita umana, inducendo a usare la tecnologia solo a fin di bene (non per fare la guerra o per sfruttare incondizionato tutto e tutti), senza mai dimenticare il compito principale di ogni essere umano: evolvere verso l’amore!
Krishnamurti diceva spesso di non credere a ciò che lui asseriva, ma di sperimentarlo direttamente. Cosa intendeva insegnare in questo modo?
Certo! Questa sua affermazione è un’ulteriore conferma della grandezza psicologica di Krishnamurti. Ascoltare cose dette da altri senza metterle in pratica, vuol dire non aver capito nulla del valore che la cosa detta contiene, fermo restando che un concetto utile a qualcuno non è detto che sia utile a tutti, poiché ognuno ha un suo proprio livello di coscienza attraverso il quale comprende le cose. L’invito di Krishnamurti nel “non credere a ciò che lui diceva” voleva indurre le persone a capire da sole, con la propria mente, con la propria coscienza, non con il proprio ego, che comunque tutti abbiamo. In sostanza, Krishnamurti voleva dire che è giusto ascoltare tutti, ma la verità bisogna scoprirla da soli, perché ogni percorso di evoluzione è unico ed esclusivo.
In linea con il pensiero di Krishnamurti come andrebbero ripensate le nostre scuole?
La scuola è l’espressione della società attuale: non può essere diversamente! A scuola s’insegna un certo tipo di conoscenza, finalizzato ad ottenere un lavoro nel futuro. La scuola attuale fa istruzione, ma ben poca educazione. Non è colpa della scuola, poiché è ovvio che i programmi scolastici, sia tecnici che letterari, devono essere trasmessi agli studenti prioritariamente all’educazione ma, all’interno della scuola (di ogni ordine e grado), si dovrebbe trovare il tempo per trasmettere anche educazione. In sostanza, istruzione ed educazione dovrebbero sempre procedere assieme: quando una prevale sull’altra, inevitabilmente si crea una carenza nella disciplina meno trattata. La parola magica è sempre equilibrio. Per fare educazione in simbiosi con l’istruzione, è chiaro che (come ho già detto) gli insegnanti e gli educatori devono essere educati, altrimenti l’insegnante o l’educatore non farà altro che trasmettere le sue carenze personali, alimentando un processo diseducativo che avviene da secoli in tutta la società umana. Perché? Perché si è dimenticato il cuore! Il giusto insegnamento deve avvenire proponendo sempre mente e cuore assieme. La scuola di oggi insegna ciò che la società di oggi vuole: competizione piuttosto che collaborazione. La scuola, o meglio, chi la organizza a livello sociale, dovrebbe decidere di rivedere alcuni parametri, investendo risorse umane ed economiche, per migliorare tali parametri, a partire dal numero di studenti in una classe: solo con un numero di allievi adeguato (ovvero ridotto) è possibile ottenere risultati in equilibrio con l’insegnamento e l’apprendimento che si desidera realizzare. Classi troppo numerose creano disagio e frustrazione sia negli studenti che negli insegnanti. Non ci vuole molto a capire questo. A qualcuno, tale ragionamento sembrerà utopistico, ma non si dovrebbe dimenticare che spesso l’uomo investe risorse e denaro in cose che non portano a niente, trascurando, invece, ciò che veramente potrebbe migliorare la vita umana di moltissime persone (non faccio esempi in tale contesto, ma sappiamo tutti che si potrebbe farne molti…).
Krishnamurti poneva molta importanza all’osservazione, alla presa di coscienza, ma che cos’è la coscienza?
L’osservare sé stessi, secondo Krishnamurti, era di grandissima importanza: non si dovrebbe mai smettere di osservare sé stessi, poiché è solo da tale osservazione che si impara a conoscere sé stessi e a comprendere gli altri, a comprendere la società, il mondo. Molte persone, per una serie di condizioni della loro vita, non vengono indotte ad osservare sé stesse: questo fa sì che siano portate ad osservare gli altri, cercando di coglierli in fallo, poiché questo fa sentire migliori. Ma tale atteggiamento è ingannevole ed illusorio, oltre che riduttivo della propria evoluzione personale. La coscienza (morale) è un elemento fondamentale nella vita dell’essere umano, ma da sempre consideriamo la coscienza in subordine alla mente (che è governata dall’ego), mentre dovrebbe essere il contrario. La mente senza coscienza, non potrà mai vedere bene la realtà.
Oggi la ricerca scientifica, penso in particolare agli studi del professor Carlo Ventura e di Federico Faggin, va nella direzione di una coscienza universale, collettiva, forse in qualche modo in linea con il pensiero di Jung, è a questa coscienza che si riferiva, secondo lei, Krishnamurti?
Secondo me no!
Devo precisare un concetto: quando gli scienziati e gli studiosi parlano di coscienza si riferiscono alla coscienza fisica, ovvero quell’entità dell’essere vivente (umano, in questo caso) che consente di percepire il mondo esterno. Ma l’essere umano, sempre secondo me, possiede anche una coscienza morale (o, se vogliamo, spirituale), capace di valutare correttamente le cose, sempre che non sia stata coperta o condizionata. Una persona che compie un’ingiustizia sa benissimo cos’è la giustizia! Questa è la coscienza morale (o spirituale) che ogni essere umano possiede.
Senza nulla togliere a Ventura e Faggin, che sicuramente si stanno prodigando, in assoluta buona fede, per dimostrare i nessi che esistono tra scienza e coscienza, penso che le loro competenze tecnico-scientifiche li abbia indotti a pensare che, con la scienza, si può spiegare tutto, anche la coscienza. Secondo me, non è così! La psiche umana, oltre ad essere infinitamente vasta (ma davvero, infinitamente), e quindi comprensibile solo in minima parte, secondo me, ha un unico obiettivo: imparare ad amare (che non sappiamo amare è palese: basta guardare come funziona il mondo). La mente dell’uomo può essere scientifica, ma alla coscienza morale dell’uomo non interessa la scienza. La coscienza morale, ben più importante della coscienza fisica, resta un’entità al di là della mente, fuori dalla dimensione mentale.
Krishnamurti, quando parlava di coscienza, intendeva la coscienza morale, e quindi, di conseguenza, si rifaceva all’educazione, poiché senza educazione non si potrà mai costruire una coscienza morale corretta. In questa sua citazione, non a caso riferita ai bambini, in quanto periodo evolutivo fondamentale di ogni essere umano, penso sia contenuto palesemente questo principio: “Bisogna amare i bambini, perché se si riuscisse a farli sbocciare pienamente senza pregiudizi, religioni, ideologie precostituite, nazionalismi, competitività, si potrebbe realizzare la pace nel mondo”.
Qual è, secondo lei, il messaggio più rivoluzionario del suo pensiero?
Non si può dire se Krishnamurti abbia trasmesso un messaggio più o meno rivoluzionario di altri. In termini di rivoluzione, diceva che “l’unica rivoluzione da fare è quella individuale interiore”, che ogni essere umano, prima o poi nella vita, dovrebbe decidere di compiere. Le rivoluzioni esteriori (che spesso sono violente) non servono quasi a nulla, se non a creare molte vittime e molti disagi, per i quali poi si decide di ricostruire una pseudo-pace tra due guerre. Tornando per un attimo all’educazione, è importante capire che Krishnamurti era assolutamente convinto che è l’individuo (e non la massa) che va educato, ed è solo da questo individuale processo educativo che può nascere un cambiamento. A conferma di ciò, disse anche: “Ognuno cambi sé stesso per cambiare il mondo”.
Ci vuole lasciare una sua citazione in particolare?
Anche qui, c’è solo l’imbarazzo della scelta, poiché ogni discorso, ogni riflessione di Jiddu Krishnamurti (Krishnamurti era il nome, e Jiddu il cognome), contiene un insegnamento di grandissimo valore umano e sociale.
Quindi posso solo proporre una citazione che mi piace molto, ma non perché la ritengo superiore ad altre, ma solo perché ogni volta che la rileggo, mi porta a pensare quanta energia impieghiamo per capire cose che, in ultima analisi, non ci migliorano, invece di preoccuparci di comprendere assieme come funziona la vita umana e cosa stiamo facendo qui.
La citazione è questa: “Non credete a una parola di ciò che dirò, ma verificate nella vostra mente quello che è giusto. Voi non siete qui per capire me, o per sapere che cosa penso della vita, ma siete qui per cercare di capire voi stessi, e questo problema è anche il vostro che, in ultima analisi, non potete fare a meno di affrontare. Affrontandolo insieme, come stiamo facendo ora, forse possiamo aiutarci reciprocamente a osservarlo con maggior chiarezza, a vederlo con maggior precisione. Ma se vogliamo vederlo con chiarezza, non possiamo fermarci alle parole. Se vogliamo produrre un cambiamento psicologico corretto, dobbiamo andare al di là delle parole, al di là dei simboli e delle sensazioni che le parole producono”.