Per alcuni, come per la sottoscritta, il tema del viaggio è un’ ossessione.
Due cose ho sempre amato fin da bambina: gli animali e le geografie “altre”.
Ancora adesso, entrambi camminano con me, e a volte si fondono, come nel caso di Istanbul.
Istanbul è stata un colpo di fulmine, tredici anni fa.
Prima era solo un suono, il suono di un nome che mi invitava, mi chiamava e non sapevo perchè.
L’ho scoperto, molti anni dopo. Sono arrivata qui (sto scrivendo proprio da Istanbul, nda) un giorno di gennaio, molti anni fa. E subito, subito l’ho riconosciuta. Ho sentito quell’aria di casa, quella familiarità che sviluppi con ciò che senti vibrare alla tua stessa frequenza, con ciò che ti nutre, ti rende felice.
I passaggi da oriente a occidente, dall’Asia all’Europa, a bordo di un battello inseguito dai gabbiani a cavallo del vento, e quello scorrere con lo sguardo sui minareti mentre si dispiega tutta la mia esistenza, e a volte perfino tutte le vite in cui io fui.
Istanbul è un posto speciale, capace di svelare verità antiche che ci abitano dentro. Si svolge su due continenti, un po’ come la mia vita, appesa qua e là…
Di Istanbul ho amato subito tutto: il cuore immenso della sua gente, il caos che non diventa mai aggressione, invadenza. E i suoi vicoli stretti che si arrampicano disegnando case, e poi si tuffano nel Bosforo mentre il sole versa sangue al tramonto prima del suo viaggio notturno, e la magia di Santa Sofia, che nessuno può ridurre a moschea come tutte le altre perché in lei soffia il vento di uno spirito che trascende bandiere e confini, e che somma Bisanzio, e la croce, e la luna, per poi salire ancora più su…
E ho amato le mappe meno turistiche, quelle che mi hanno portato verso luoghi e persone straordinarie che ho raccontato nel libro La mia Istanbul.
Il mio posto preferito è Moda, a Kadikoy. Pochissimi turisti, e gente del posto che vive con una lentezza altrove perduta, fra sorrisi, gentile accoglienza e, soprattutto, educazione.
Ma se torno ogni volta a Sultanhamet, il quartiere più caro e turistico di tutta la città, non è certo per la Moschea Blu, e neanche per Santa Sofia, per quanto la ami follemente.
Io qui sono sempre tornata per i randagi, per quei cani e quei gatti che conosco uno per uno e con cui passo un tempo speciale, il tempo dell’alba e della notte, un tempo che appartiene alle stelle e ai randagi.
Ho sempre apprezzato l’amore dei turchi verso gli animali.
Qui non è raro incontrare casette per gatti, dispenser pieni di crocchette e ciotole d’acqua.
Istanbul è famosa per i suoi gatti che ho sempre fotografato e raccontato. Ma ci sono anche loro, i cani.
Cani enormi, giganti, come i pastori dell’Anatolia. Cani con un cuore troppo grande per essere contenuto dai confini della materia.
Ho sempre notato, però, il trattamento privilegiato offerto ai gatti, che godono di protezione “altolocata” perchè il profeta li ha amati molto, e si narra che una gatta gli abbia perfino salvato la vita.
I cani invece sono più sfortunati, nel Corano si cita l’impurità della loro saliva che richiede di lavarsi ben sette volte dopo il contatto.
Ma è anche vero che nel Corano si invita al rispetto verso ogni animale, e questo rispetto, alla fine, sarà giudicato.
Tuttavia è innegabile che si offra il fianco a interpretazioni estreme come quelle iraniane, in cui da qualche anno i padroni di cani non possono perfino entrare nei giardini pubblici se in compagnia del loro animale.
Ma la Turchia è diversa, e finora i cani di Istanbul hanno sempre fatto parte della storia di questa città, perfettamente integrati nel tessuto urbano e sociale.
Ma quando la nuova legge, pochi mesi fa, è stata varata, il trauma è stato enorme.
I liberi cani di Istanbul – come tutti i cani della Turchia – devono essere catturati e segregati in “rifugi” (che spesso sono campi di concentramento) sovraffollati, insufficienti e inadeguati. La legge peraltro stabilisce che i cani “aggressivi” e quelli malati devono essere abbattutti (non accetto l’uso del termine eutanasia per mitigare l’assassinio, le parole sono importanti).
Lo shock per me, come per la maggior parte dei turchi, è stato devastante.
Non povevo accettare che la mia città d’anima perseguitasse le anime innocenti dei suoi abitanti a quattro zampe.
E così, dopo un primo rifiuto a tornare qui, e a scriverne, ho capito che mi sarei trovata davanti a un bivio: chiudere gli occhi e dimenticarmi di Istanbul per spegnere il dolore del cuore, oppure tornare e combattare, combattere per aiutare i miei amici randagi.
Chi a Istanbul ha avuto il privilegio di camminare insieme ai cani e di stabilire con loro una connessione che va oltre le specie e le parole, sa quanto sia preziosa la loro presenza.
I cani sono Istanbul. Le appartengono. Vivono qui da secoli, e malgrado nel 1910 l’ultimo sultano dell’impero ottomano li abbia massacrati facendoli deportare nelle isole per lasciarli morire di stenti, loro sono tornati.
E sono un simbolo della città, esattamente come i gatti, come i loro amici più fortunati.
Purtroppo le catture sono iniziate, e già ci sono casi di massacri e di canili lager in cui i cani hanno subito torture e uccisioni.
E poi ci sono le morti in vita, le morti di questi animali rinchousi in massa in spazi strettissimi, senza uscire mai più, per sempre orfani della loro libertà di cittadini.
Sento le loro grida, vivo il loro dolore come se fosse il mio.
L’empatia verso gli animali non esclude quella per gli umani, ma è anche vero che nessuna specie è crudele e pericolosa quanto la nostra.
Dunque sì, guai a chi tocca gli innocenti. E i bambini e gli animali sono quelli che vivono più in sintonia con la grazia del creato. Sono quelli che ancora conservano il filo di Arianna che li collega alle stelle.
Ed ecco che il mio grande amore ha coinciso con il mio grande dolore. Proprio qui, qui a Istanbul. Non sopporto le ingiustizie, mi fanno male fisicamente, invadono la pelle, le ossa, i visceri. E mi ammalano.
All’improvviso Istanbul era ostile proprio verso gli innocenti, verso quei cani che chiedono solo cibo e qualche carezza.
Istanbul, la mia Istanbul, non era più mia. Era in mano a forze scure che neanche le proteste degli amanti degli animali sono riuscite a fermare.
Non mi interessano le polemiche politiche, nè i colori. Mi interessa la protezione di questi cani.
E così ho scelto di tornare e proteggerli.
Di aiutarne quanti più possibile.
Quando il tuo grande amore sconfina nel trauma, nella sofferenza più forte, hai solo due scelte: allontanarti o restare sapendo che soffrirai, che ti farai male, che sarà pesante, difficile e doloroso.
Ma non ho potuto girarmi altrove.
Ed è così che a volte la vita ti mette davanti a scelte mai immaginate.
E collegando amori diversi, crea un percorso unico che altrove si era sdoppiato.
Istanbul sarà la mia Istanbul solo finchè onorerà i suoi animali.
In fondo, i monumenti, per quanto importanti, fanno sempre parte della materia su cui l’uomo scrive la storia.
Ma le anime, le anime sono inviolabili.
Ogni anima conta. Anche quella anima/le.
E allora tornare a Istanbul ha un senso diverso.
Il senso di un’allenza che non voglio tradire.