di Martina Controne
Alberto rientra a casa tutte le sere alle sette in punto, non solo perché è un tipo preciso, ma perché non vede l’ora di rivedere Veronika.
Se fosse per lui trascorrerebbe tutto il suo tempo insieme a lei, ma non può trascurare il suo lavoro, visto che sogna di trasferirsi insieme a sua moglie il prima possibile in un posto di mare. Ancora è indeciso sulla meta, e a dire la verità non ha comunicato questo progetto che gli ronza nella testa da un po’ a nessuno, tantomeno a Veronika. Aspetta il momento giusto per farlo, perché ultimamente la vede più silenziosa del solito. E poi, prima, vuole mettere da parte altri soldi per comprare una casetta sulla spiaggia, per bere tante piña colada insieme a lei, regalarle costumi colorati e striminziti e anche qualche pareo, per quando si alzerà dal lettino. Non gli piace l’idea che altri uomini possano dire o soltanto pensare che sua moglie è proprio una vera Bambola, la più bella e sexy sulla faccia della Terra.
Prima di sposarsi rincasava sempre verso le nove, anche se il suo turno di lavoro terminava comunque alle sei e mezzo. Uscire così presto dall’ufficio non gli piaceva, perché per strada avrebbe incontrato un sacco di persone che portavano buste della spesa formato famiglia che gli facevano ricordare che a casa non ci sarebbe stato nessuno ad aspettarlo. Poi aveva conosciuto Veronika su internet e non si era più trattenuto in ufficio oltre l’orario stabilito.
Sua moglie quando l’aveva conosciuta era in promozione, e il suo capezzolo destro era coperto da un bollino rosso dove c’era scritto “occasione da non perdere”. Appena l’aveva vista in foto se ne era subito innamorato. Ma il prezzo ridotto non c’entrava niente, anche se l’avesse dovuta acquistare a prezzo pieno se ne sarebbe innamorato lo stesso. È quello che Alberto pensa e che le ha detto il giorno stesso in cui l’ha ricevuta a casa dentro a uno scatolone, che è lo stesso giorno in cui le ha chiesto di trasferirsi per sempre da lui e diventare sua moglie.
Non aveva mai visto una donna più bella di Veronika, con un seno così pieno e naturale coperto in parte dal bollino rosso con scritto “occasione da non perdere” – che lui aveva subito rimosso con dolcezza per non farle male e perché poi, l’occasione l’aveva colta e l’unica cosa che non voleva perdere era tempo –, una donna con le labbra carnose e sempre tinte di rosso, con una pelle così lucida e liscia: proprio una vera Bambola, la più bella di tutte e tutta per lui.
Ogni mattina, gli occhi di Alberto si aprono qualche secondo prima che la sveglia suoni alle otto, e prima di andare in bagno a prepararsi dà un bacio sulla fronte a Veronika e le sussurra piano: “Sarò a casa per le sette”, quel tanto che basta per non svegliarla ma quel tanto che basta per far sì che lei non si dimentichi mai che suo marito tornerà alle sette, in modo che magari, chissà, si decida per una volta a fargli trovare la cena pronta, spera lui.
Poi le rimbocca le coperte, le dice di continuare a dormire e chiude la porta della camera per non disturbare il sonno della moglie, anche se lei non si muove di un centimetro nemmeno quando lui le accarezza i capelli prima di alzarsi dal letto.
“Alle sette, alle sette in punto sarò a casa, Veronika” ripete Alberto dentro di sé quando si chiude la porta alle spalle.
Il freddo del mattino gli si infila dappertutto, sotto alla giacca, dentro il maglione a collo alto, nei guanti e fra le dita per tutti i trenta minuti di passeggiata che deve fare per raggiungere l’ufficio. Potrebbe utilizzare la macchina, come faceva prima, ma da quando è sposato preferisce camminare. Gli piace sentire il freddo che gli fa diventare la pelle rossastra, gli piace perché gli fa sentire di avere un corpo, di avere due gambe, due braccia, e tante altre parti che non vede e non sente almeno fino alle sette di ogni sera, quando sarà Veronika, la sua amata Bambola, a risvegliarle.
Gli piace camminare perché è quando cammina che gli vengono le idee migliori, tipo andare a mangiare con sua moglie nel nuovo bistrot che hanno aperto a dieci minuti da casa loro. Ogni volta che Alberto ci passa davanti vede con la coda dell’occhio – non può rallentare il ritmo della camminata perché non vuole arrivare in ritardo – che nel locale ci sono solo tavoli da due, apparecchiati con delle tovaglie rosse con al centro un mazzo di fiorellini gialli e azzurri.
In quel momento si ricorda sempre che lui e Veronika, da quando stanno insieme, non sono mai usciti a cena fuori. Lui ogni tanto prova a proporle una serata romantica e diversa dal solito, ma tutte le volte che lo fa lei non gli risponde mai e sembra ancora più assente del solito. Alberto a volte pensa che lei si vergogni a farsi vedere in giro, anche se non glielo ha mai confessato esplicitamente e lui non gliel’ha mai chiesto.
E comunque lui vorrebbe dirle: “Bambola mia, non c’è niente che non va in te.”
Sulla strada, gli capita di vedere qualche negozio in cui vendono dell’intimo e dei costumi molto sexy e striminziti, proprio quelli che gli piacerebbe comprarle. Ogni tanto fa per entrarci, ma poi si ricorda che non può tardare al lavoro e che è meglio mettere i soldi da parte per comprare quella casetta al mare molto lontano, così potrà respirare tutto il giorno l’odore della plastica di sua moglie.
Mentre cammina vede anche molti genitori che accompagnano i figli a scuola, sbircia con la coda dell’occhio le loro manine scomparire dentro a quelle grandi degli adulti, e pensa che gli piacerebbe davvero tanto avere un figlio.
È sicuro che sua moglie partorirebbe il bambino più bello del mondo perché le somiglierebbe. Ma non ha mai affrontato argomenti di questo tipo con Veronika, lui la ama con tutto il cuore e non vorrebbe metterla in difficoltà.
Gli basterebbe solo trascorrere più tempo con lei: pensa che così le cose tra loro potrebbero migliorare, quando potrà permettersi di non lavorare più per trasferirsi insieme alla sua Bambola in un bel posticino di mare, non importa dove, basta che sia lontano, molto lontano.
Alberto è impiegato in un’agenzia di assicurazioni e le sue mansioni consistono nel timbrare e firmare un sacco di fogli, scaricare decine di documenti dal computer e rispondere alle telefonate.
Dalla sua postazione non sente mai rumore di tasti che battono sul computer, telefoni che squillano e le voci dei suoi colleghi che concordano con i clienti gli appuntamenti della settimana. Sente solo ridere, confezioni di cibo che si aprono, cannucce che raschiano il fondo delle lattine di Coca-Cola vuote comprate nel bar in fondo alla via e commenti sul palinsesto televisivo della sera precedente.
E mentre sente tutte queste cose e contemporaneamente non stacca gli occhi dal computer e da tutti quei numeri e quei codici e l’unico telefono che squilla è il suo – non è Veronika che lo chiama, lei non lo chiama mai, sono i clienti – davanti alla sua scrivania compare ogni quarto d’ora qualche collega a lasciargli cartelle piene di documenti che assomigliano alla pancia di un obeso che sta per esplodere e un bicchiere d’acqua.
Oppure, a metà mattinata, qualche diplomatico alla crema della pasticceria di fianco al bar in fondo alla via, qualche cioccolatino o caramella o zuccherino perché aiutano a concentrarsi meglio quando si lavora, gli dicono i colleghi, spremuta d’arancia con un paio di tramezzini al tonno e maionese per pranzo. Alberto stacca gli occhi dal computer e li ringrazia sempre tanto per quelle premure e i colleghi gli rispondono che non vogliono ringraziamenti, che lo fanno con il cuore ma di continuare a fare quello che sta facendo perché non vogliono distrarlo, e scompaiono di nuovo nei loro uffici.
Lui pensa davvero che siano gentili e a volte vorrebbe dirgli che forse è persino troppo. Troppo latte nel caffè, troppe caramelle, troppi cioccolatini, troppa crema pasticciera nelle paste, troppa maionese e troppo tonno nei tramezzini, troppe arance spremute nella spremuta, troppi sorrisi che sembrano ghigni.
Però ogni volta non riesce a dire niente, ha troppo lavoro da sbrigare.
E poi, in fondo, i suoi colleghi gli vogliono bene e non c’è niente di male nel dimostrare il bene che si prova. Veronika, invece, ha un modo diverso di dimostrarlo, ma questo non vuol dire che non lo ami, pensa Alberto, anche se a volte non è proprio convinto.
Non è mai stato sposato prima, e a dirla tutta sua moglie è stata l’unica donna della sua vita, e ogni tanto vorrebbe chiedere ai suoi colleghi se anche le loro mogli si comportano così. Poi si ricorda che non sanno nemmeno che lui ha una moglie. Nel suo ufficio non c’è alcuna traccia di Veronika, nessuna foto di lei o di loro due insieme, perchè in tutte quelle che ha provato a scattare lei non lo bacia, non lo abbraccia, non avvicina il viso a quello di suo marito e non guarda neppure l’obiettivo.
Alberto è convinto che lei si comporti così perché non vuole che lui mostri la loro foto a qualcuno, magari proprio a suoi colleghi.
A dirla tutta ad Alberto dispiace e non dispiace. Vorrebbe che tutti sapessero che sua moglie è la più bella di tutte, ma solo l’idea che qualche suo collega e chiunque altro possa desiderare la sua Bambola lo fa letteralmente impazzire di gelosia.
Si prende solo due pause nell’arco della giornata, che non durano più di dieci minuti. La prima dopo pranzo, quando proprio non ce la fa più a trattenerla e va in bagno e la seconda a metà pomeriggio, verso le quattro e mezza o le cinque sempre per lo stesso motivo. Dopo i due pit-stop fisiologici fa quello che aspetta di fare da quando esce di casa la mattina: prende il cellulare e chiama sua moglie.
“Ciao Veronika, amore mio, mi manchi tanto. Non vedo l’ora di ritornare a casa e fare l’amore con te” le dice per prima cosa. Poi le dice che per cena avrebbe proprio voglia di polpette al sugo di pomodoro e basilico, il piatto forte di sua moglie, ne era sicuro, anche se non glielo aveva mai preparato.
“Tu che fai, Bambola? Io adesso sono in pausa, è da questa mattina che avevo voglia di sentire la tua voce, come sempre. Lo sai che ti amo? Lo sai che mi manchi? Non vedo l’ora che siano le sette.”
Alberto rientra a casa tutte le sere alle sette spaccate.
Sulla strada di ritorno il freddo gli si infila dentro il cappotto, s’insinua nelle cuciture del maglione a collo alto, gli risveglia le dita dei piedi che si muovono con più velocità dentro le scarpe: “Veronika, sto arrivando da te.”
Prima però Alberto, come tutte le sere, fa un salto a comprare qualcosa nella rosticceria a due isolati da casa. Al telefono, quando l’aveva chiamata per avvisare che stava arrivando, aveva detto a sua moglie che gli sarebbe piaciuto mangiare le polpette al sugo di pomodoro e basilico e spera davvero tanto non solo che si sia ricordata finalmente di preparaglierle ma proprio di cucinare qualcosa.
Però sa anche che è parecchio smemorata e anche un po’ pigra, quindi al banco chiede alla commessa: “Ce l’avete le polpette al sugo di pomodoro e basilico?”
La commessa lo guarda come gli avesse fatto una richiesta molto fuori luogo, tipo come se fosse entrato in rosticceria e avesse ordinato un reggiseno, poi dice: “Stasera no. Riprovi domani.”
Alberto esce dal negozio con una vaschetta con dentro un pollo e due porzioni di patate arrosto e una volta in strada inizia a sentire di nuovo freddo. Lo sente dappertutto, è una lama che gli buca il tessuto dei jeans, una mano che si intrufola nelle sue mutande: “Veronika, sto arrivando da te, dai tuoi capelli biondi, dalle tue ciglia chilometriche, dalle tue labbra carnose e rosse come se avessi sempre il rossetto anche se non te lo metti mai, dai tuoi seni turgidi e pieni.”
“Bambola mia, sono a casa” dice Alberto dopo aver chiuso la porta dietro di sé e posato le chiavi sul mobile all’ingresso. Accende la luce in soggiorno e appende il cappotto nell’attaccapanni sopra al mobile.
“Amore mio, anche stasera ho spaccato il minuto. Sette precise. Dove sei?” domanda mentre appoggia la vaschette con dentro il pollo e le patate arrosto sul tavolo della cucina. Non vede nessuna pentola sui fornelli immacolati e pensa che ha fatto bene anche stasera a passare in rosticceria.
I termosifoni sono a palla, ma Alberto continua a sentire freddo dappertutto, sente tanti piccoli brividi che lo fanno muovere a scatti verso la camera da letto: “Bambola mia, sono a pochi passi da te, finalmente.”
Anche la luce della camera da letto è spenta e quando preme l’interruttore trova sua moglie nella stessa posizione in cui l’ha lasciata la mattina, stesa sul fianco destro con le coperte rimboccate appena sotto il collo.
Alberto alza gli occhi al cielo, sospira e dice: “Bambola, ma che fai. Non sarai mica rimasta a letto tutto il giorno anche oggi.” Ma è un rimprovero dolce e pieno di comprensione, come quello che si riserva ai bambini a cui alla fine si perdona sempre tutto. Lui ama sua moglie e l’accetta così com’è, anche se sta tutto il giorno a letto, anche se non gli prepara mai la cena dopo una giornata intera e stancante di lavoro, anche se non dice mai una parola, tantomeno che lo ama, nemmeno dopo aver fatto l’amore.
Alberto sa che si comporta così perché lei si sente diversa rispetto a lui, rispetto a tutti gli altri. Non riesce proprio ad avercela con lei: il suo amore, la sua Bambola dai capelli biondi, dalle labbra rosse, le ciglia chilometriche e i seni turgidi e pieni.
“Dai Bambolina, andiamo a cena che ho fame. Tu non hai fame? Ho comprato il pollo e due vaschette di patate arrosto.”
Sua moglie non risponde e Alberto la solleva dal letto e la prende in braccio, e come sempre, al contatto con la plastica liscia e lucida del suo corpo si eccita, ma c’è un tempo per tutto: prima la cena.
Sistema sua moglie sulla sedia intorno al tavolo della cucina, facendo attenzione che la schiena sia perfettamente dritta e allineata allo schienale. Le appoggia le braccia sul tavolo e le lega intorno al collo un tovagliolo.
Sta sempre molto attento a queste cose, non vorrebbe mai che si sporcasse o peggio che avesse problemi di postura, in futuro. Alberto sa che lei non acconsentirebbe mai a farsi visitare da un dottore, si vergognerebbe troppo e la farebbe sentire ancora più diversa di quanto già non si senta.
“Bambola mia, stasera sei più bella del solito” le dice quando ha finito di sistemarla. “Mangerei te al posto del pollo.”
Ci prova sempre a riempirla di complimenti e di attenzioni, a farla sentire amata e desiderata e spera che prima o poi lei possa acquisire fiducia in se stessa, e magari, un giorno, persino dedicare a lui tutte queste premure.
Apparecchia la tavola, le serve nel piatto metà del pollo che sminuzza in tanti piccoli pezzi, una porzione generosa di patate arrosto e si siede di fronte a lei.
Alberto inizia a mangiare direttamente dalle vaschette di alluminio, mentre Veronika fissa un punto imprecisato sopra la sua testa, verso il muro.
“Bambolina mia, questo pollo è buonissimo. Non è buono come le polpette al sugo di pomodoro e basilico che so che sei bravissima a preparare. Me le farai un giorno?”
Sua moglie non risponde, e continua a guardare forse la pelata di suo marito, o forse quella macchia di umidità sopra la credenza della cucina.
“Dai Bambolina, stavo scherzando. Non voglio obbligarti a fare qualcosa se non ti va. Però devi mangiare, ti vedo un po’ sciupata, un po’ sgonfia rispetto al solito.”
Alberto si rende conto immediatamente di aver detto una cosa stupida, una cosa che proprio non doveva dire. Gli capita di fare gaffe di questo genere con sua moglie e quando gli capita ci rimugina su tutta la notte e poi per tutto il giorno seguente, mentre è al lavoro e tutti i suoi colleghi lo riempiono di caffè, di pasticcini e di caramelle e lui pensa che non se le merita tutte quelle carinerie, che è una persona orribile e che sono così gentili con lui perché non sanno, perché non lo conoscono, e che non può recriminare sua moglie se dopo scivoloni del genere non gli prepara mai la cena, sta tutto il giorno a letto e non gli dice mai ti amo. In questi momenti vorrebbe confessare tutto ai suoi colleghi, che è sposato e che sua moglie è fatta di plastica e che nonostante questo lui la ama con tutto se stesso. Darebbe la vita per lei anche se lo fa soffrire, perché sembra che qualsiasi cosa lui faccia o dica sia sbagliata e renda sua moglie sempre più silenziosa e insicura. Eppure le dice sempre che è la donna più bella che abbia mai visto in vita sua e che gli sembra un miracolo poterla avere tutta per sé.
Alberto si sporge in avanti per accarezzarle il braccio, e per sbaglio urta con il piede la sedia di Veronika e lei scivola leggermente verso sinistra. Si alza di scatto e grida: “Bambola mia!”, la rimette subito dritta e si inginocchia di fianco a lei.
“Scusa Bambola, non sai quanto mi dispiace. Non volevo. È che sono preoccupato per te. Non mangi niente e sai che ci tengo troppo alla tua salute. Tu sei la cosa più preziosa che ho. Respiro, mi sveglio, mi lavo, mi vesto, vado al lavoro e mi eccito solo perché esisti tu. Sei tu che mi dai la forza. Senza di te nulla di tutto questo avrebbe senso. Nulla, lo capisci, Bambolina mia? Lo capisci che ti amo?”
Sua moglie guarda sempre dritto, ma ad Alberto che si è inginocchiato di fianco a lei e la guarda di profilo, sembra che i lineamenti del suo volto si addolciscano e che le sue labbra rosse si alzino leggermente all’insù: è un sorriso quello della sua Bambola adorata, un po’ timido forse, ma è pur sempre un inizio: lo sa che non è abituata a farlo. E comunque, gli pare un sorriso autentico e molto diverso dal ghigno dei suoi colleghi.
Alberto appoggia delicatamente la testa sulle sue gambe, sempre più magre e sempre più sgonfie, ma stavolta non glielo fa notare. La plastica morbida e fredda gli accarezza il viso, gli liscia la peluria della faccia e lui inizia a singhiozzare in silenzio. Gli scoppia il cuore per la felicità, sua moglie non è arrabbiata con lui e lo ama.
“Lo so Bambola mia che mi ami, anche se non me lo dici. Grazie per avermi fatto capire che non ce l’hai con me. Non ce l’hai con me, vero?”
La pressione della testa di Alberto sulle sue gambe sposta leggermente il corpo di Veronika in avanti e la testa le penzola verso quella del marito.
Lo vuole baciare, pensa. Sua moglie vuole un bacio da lui. Si comporta così tutte le volte. Prima fa l’offesa, lo fa stare sulle spine ma alla fine non resiste e vuole fare la pace. Però sa che anche che non sarà lei a prendere il suo viso tra le mani e a baciarlo, non è certo tipa da fare la prima mossa: è pur sempre una donna.
“Lo sapevo Bambola mia che mi ami anche tu.”
Alza la testa dalle sue gambe, con la mano destra le tiene il viso e appoggia la sinistra dietro il suo collo per non farla cadere all’indietro o in avanti, come era già successo una volta e lei si era rifiutata di baciarlo per una settimana.
Preme le sue labbra contro quelle carnose e rosse di sua moglie con dolcezza, come se tra di loro fosse il primo bacio. Cerca sempre di contenersi, almeno all’inizio, perché ha come l’impressione che a lei, che sotto sotto è una romanticona, non piaccia bruciare le tappe e arrivare subito al dunque.
Continua a baciarla delicatamente sulle labbra e sul collo per un po’, fino a quando non riesce più a trattenersi e sfodera la lingua. Alberto gliela infila dentro la sua bocca rossa e carnosa. Sospetta che a lei non piaccia baciare con la lingua, anzi, non crede di aver visto la lingua di sua moglie nemmeno una volta. Lei ovviamente non gliel’ha mai detto, come non gli ha mai spiegato la ragione per cui non lo bacia mai con la lingua. Sospetta anche che sia germofobica, per questo non ricambia i suoi baci pieni di passione e desiderio e amore.
Invece lui, che non è germofobico, lecca le sue labbra rosse e carnose.
“Scusa Bambola mia se ti sporco tutta di saliva” dice e poi continua, non riesce a smettere, fino a quando il contatto con la plastica fredda del suo corpo lo fa eccitare. Comincia a sentire freddo dappertutto, un freddo che gli parte dalla bocca e scende giù, verso il collo, le spalle, la pancia, scivola sul ventre e pizzica dentro le mutande e glielo fa alzare e indurire.
“Scusami Bambola, lo so che a te piace fare le cose con calma, ma non resisto più.”
Si alza e prende in braccio sua moglie come fa ogni sera quando arrivano a quel punto e la porta in camera da letto. Mette un cuscino in verticale e ce la sistema sopra, appoggiandole la schiena alla testiera per farla stare in equilibrio.
Poi si slaccia la cinta dei pantaloni, se li sfila e li butta per terra, si toglie le mutande, lo tira fuori e prende la mano destra di sua moglie, la stringe dentro la sua e si mette entrambe le mani intorno al pene e inizia a fare su e giù.
“Hai un corpo magnifico, Bambolina mia” dice lui, che non riesce a staccarle gli occhi di dosso.
Lei ha lo sguardo puntato in direzione dell’armadio che sta davanti al letto e che svetta oltre la testa pelata di suo marito. Alberto sa che in questi momenti lei preferisce non guardarlo negli occhi. È timida e forse si sente un po’ in colpa, perché le sue mani non riescono a stringere abbastanza e a muovere il suo pene, anche se è dritto e duro, in su e in giù come dovrebbero. A lui non pesa questa situazione, gli permette di sentire contemporaneamente la plastica fredda di lei tra le sue mani e sul pene e questo lo fa eccitare ancora di più.
“Guarda Bambola mia quanto mi stai facendo godere, sei bravissima” la rassicura. Alberto adesso ha sempre più voglia di lei, di sentire l’odore e il freddo della sua plastica dappertutto, intorno a lui, sotto di lui, sopra di lui, dentro di lui fino a che non esista altro al di fuori della sua Bambolina.
“Fatti toccare un pochino” dice, le toglie il cuscino da dietro la schiena, glielo appoggia sotto la testa e stende il corpo di sua moglie sul letto. Si mette a cavalcioni sopra di lei e da quella posizione gli occhi di Veronika sono fissi su quelli di suo marito. Lui lo capisce da questo che le piace da impazzire quello che sta per fare, anche se non gliel’ha mai confessato: adesso che sono uno di fronte all’altro non ha paura o vergogna e finalmente lo guarda.
Alberto è sempre più eccitato e le infila un dito dentro che scivola nella plastica liscia e fredda e produce un suono che è simile a un sussulto, un gridolino.
“Mi piace quando godi Bambola mia, fallo, grida ancora” le dice, facendo scivolare il dito sempre più in profondità, sempre più forte. Poi si rannicchia tra le sue gambe e sfodera la lingua e la fa roteare dentro sua moglie, nella plastica liscia e fredda e bagnata che emette un altro sussulto, un altro grido.
“Ti piace eh, Bambola mia? Senti quanto sei bagnata.”
Alberto, ancora tra le sue gambe, sbircia il volto di Veronika e vede che i suoi occhi, da lì sotto, sono rivolti in alto, verso il soffitto. Lo eccita vederla eccitata, con gli occhi socchiusi e puntati in su. Allora lui se lo prende in mano e lo infila dentro la moglie, mentre tiene fermo il suo corpo con il braccio sinistro. Non vuole farle male, sa che è delicata, che la sua plastica fredda e liscia e tutta bagnata potrebbe risentirne.
Alberto spinge, va avanti e indietro e le tocca con la mano libera i seni, li stringe prima piano e poi sempre più forte, non vuole farle male ma non riesce a resisterle e la plastica prima sussulta e poi urla, geme, sempre di più.
Continua a spingere e si ferma solo ogni tanto per protendersi in avanti a leccare i seni turgidi e pieni della sua Bambola. La plastica di lei si gonfia dentro la sua bocca e diventa ancora più fredda e scivolosa e bagnata.
Poi lui si tira su con la schiena diritta per entrarle dentro di nuovo. La sua Bambolina, sua moglie, è sempre più fredda, più scivolosa e bagnata di prima e lui continua a spingere, con la mano sinistra che sorregge il suo corpo di plastica, e quella destra che tiene e accarezza i suoi seni. Li avvicina e li strizza, così può toccarli entrambi contemporaneamente e con il dito indice preme sui capezzoli.
La plastica di Veronika è tutto uno scivolare freddo e bagnato, è tutta un sussulto, un grido, un gemito, uno sfregamento contro il corpo di Alberto che si unisce al cigolio del materasso, alla testiera del letto che batte contro la parete, ai sospiri rumorosi di lui che nella penombra della stanza vede gli occhi di sua moglie rivolti sempre più in alto, oltre il soffitto. Non riesce a vederli bene, ma immagina le pupille della sua Bambola restringersi e poi allargarsi come un cuore che batte forte e sta per esplodere.
Poi ancora, le pupille che iniziano a roteare prima descrivendo dei piccoli cerchi e poi grandi, così grandi che assorbono il letto, l’armadio, le pareti e tutta la camera. La plastica continua a gemere e anche Alberto e le pupille roteano sempre di più, sempre più veloce, sono una centrifuga dentro cui la stanza gira, vortica e danza.
Un gemito strozzato, un unico breve e denso gemito in cui si confondono e si sommano tutti gli altri sospiri delle lenzuola, del materasso, della plastica e di Alberto.
E poi la stanza smette di muoversi e di danzare, le cose smettono di gemere, Alberto smette di gemere, e le pupille di roteare. Si stende di fianco alla moglie scosso ancora da tanti piccoli brividi di freddo e chiude gli occhi.
“Ti è piaciuto Bambola mia? Scusa se non sono durato tanto, ma questo è l’effetto che mi fai.”
Li riapre e la guarda, lei ancora con gli occhi puntati verso il soffitto.
“Stai ancora godendo, Bambolina mia?”
Veronika non risponde, ma lui non se la prende. Lo sa che non le piace parlare in generale, figuriamoci dopo aver fatto l’amore. Alberto sposta il corpo della moglie un po’ più in basso in modo da riuscire ad accucciarsi sulla sua spalla senza pesarle troppo.
“Sei la donna più bella e più dolce che io abbia mai incontrato. Tu ci sei sempre per me. Non ti devi vergognare di nulla, lo sai? Non ti devi sentire sbagliata. Non sei diversa, sei speciale. Ti amo. Dimmi che anche tu mi ami.”
Si gira sul fianco sinistro e la abbraccia. La plastica del suo corpo sussurra qualcosa piano, un piccolo e impercettibile rumore nascosto tra le lenzuola e i battiti rallentati del suo cuore. Lui lo sente e dice: “Non ti sforzare Bambola mia. Perdonami. Immagino sia stata una giornata stancante anche per te. Mettiamoci a dormire. Lo so che mi ami, non c’è bisogno che tu dica niente.”
Poi gira anche sua moglie sul fianco destro, le solleva il braccio sinistro e se lo mette addosso, lungo il fianco. Adesso anche la sua Bambola, l’amore della sua vita, lo abbraccia. Si abbracciano.
Alberto avvicina il viso a quello di lei e chiude gli occhi. Riesce ad addormentarsi solo così, con l’odore della plastica fredda e liscia del corpo di Veronika, della sua speciale e amata Bambola.