Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Per una didattica della lettura

Tutti vogliamo scrivere. Ma tutti sappiamo leggere? E, soprattutto sappiamo leggere bene? Questo è il primo di una serie di incontri per trasformarci in buoni lettori.

di Francesca Pacini

 

“Come saremmo colti se conoscessimo bene solo cinque o sei libri”, scriveva Flaubert.

Proprio perché è la qualità della lettura, e non la quantità, a farci crescere intellettualmente  ed emotivamente. La cultura non dovrebbe essere sfoggio di erudizione, mai.

La cultura dovrebbe essere scavo profondo, dissodamento delle nostre idee, delle nostre convinzioni per aprirci al nuovo, al pensiero e all’esperienza dell’altro da noi; dovrebbe farci diventare esseri umani migliori, figli di confini allargati e, parafrasando Frida Kahlo, trasformati in orizzonti da cui prendono forma visioni nuove, diverse.

Invece il libro finisce per diventare estensione egoica, mera citazione intellettuale per una discussione da salotto, erudizione fine a sé stessa usata spesso per mostrare la nostra (presunta) superiorità sugli altri, sui “meno colti”.

Basterebbe leggere bene pochi libri, sì. Ma leggerli davvero. Leggerli con i cinque sensi, con il cuore, con la coscienza. Non è facile, però.

Perché la lettura è un fatto importante, almeno quanto la scrittura. E, di fatto, il risultato drammatico di un popolo, quello italiano, che legge poco è quello di scrivere male. Lo sa chi, come me, combatte contro l’assenteismo in libreria da tanti, troppi anni. Ho diretto un’agenzia letteraria per moltissimo tempo, con risultati spesso deludenti quando si trattava di trovare quei testi che ti accendono il fuoco dentro perché brillano della stessa fiamma accesa dalla scrittura che pulsa di bellezza e di vita. Ma sono piccole barchette rare che solcano il mare infinito dei testi banali, superficiali.

Le case editrici pullulano di aspiranti scrittori che non sono mai stati realmente lettori. Mai. Per questo è impossibile diventare bravi scrittori.

E non basta neanche leggere, bisogna saper leggere. La didattica della lettura è per me un’ossessione, un chiodo fisso.

Si legge un testo così come si segue uno spartito musicale perché la parola è suono, frequenza, vibrazione. Ciò che a noi sembra immateriale (la parola parlata) o fissa nella materia (la parola scritta) è in realtà una danza, una danza di armonie, accostamenti, picchi e dissoluzioni. Va avvicinata con curiosità e rispetto. Va ascoltata, anche nelle pagine, come si ascolta la musica.

Perché per leggere non servono solo gli occhi. Sono necessarie le orecchie, la lingua, la pelle con tutti i sensi. Leggere è un’esperienza totale, e totalizzante.

Non a caso Nabokov nelle sue lezioni di letteratura parla di quel brivido che corre lungo la colonna dorsale del buon lettore. Sì, brivido. Colonna dorsale. La colonna è simbolicamente ciò che regge non solo l’uomo ma la vita intera. E il libro ha la stessa funzione. Regge la vita degli scrittori, delle storie, dei personaggi, delle verità e delle denunce, degli amori e dei delitti, delle dichiarazioni e delle omissioni, delle intere generazioni, delle società con i loro implacabili vizi, delle famiglie felici e quelle infelici, come insegna Dostoevskij. Regge tutto ciò che abita saggio e finzione narrativa.

Noi non abbiamo un cervello soltanto, ne abbiamo tre. Uno sta nella testa, uno nel cuore, uno nella pancia. Purtroppo il mondo moderno ci ha insegnato a usare soprattutto quello che sta nella testa, facendoci dimenticare gli altri due spazi che sono ancora più importanti, come dimostrano le neuroscienze.

Gli studi sui campi elettromagnetici stanno peraltro scoprendo  che l’intelligenza del  cuore è un abisso senza fine, come mostrano studi scientifici che hanno misurato la potenza del campo cardiaco rispetto a quello del cervello.

L’intelletto privo di cuore, e di anima, diventa sterile, muore sconfitto dalla presunzione dell’ego. Ed ecco allora che sfoggiare intere librerie senza di fatto aver conosciuto nessun libro, esattamente come il “non lettore”.

Cosa avvicina dunque chi legge molto, ma legge male, e chi non legge nessun libro?

L’assoluta mancanza di quel confidenziale piacere che nasce intorno al libro che è stato vissuto e  integrato nella propria esperienza.

È così che cresciamo, è in questo modo che diventiamo uomini migliori.

Questo, a mio avviso, significa leggere bene. E allora basterebbero solo cinque o sei libri, come scrive Flaubert. Sarebbero molto più incisivi della biblioteca di Babele di borgesiana memoria privata di un degno custode/lettore.

Dobbiamo imparare a leggere, prima ancora che a scrivere.

Nessuno può insegnarci a scrivere, solo i grandi scrittori. Sono loro i maestri a cui dobbiamo guardare, da cui dobbiamo imparare. Ma ci servono le chiavi di accesso.

E questa è un’altra storia.