Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

La Rosa ribelle

La donna ha sempre dovuto battersi per competere in campi ritenuti maschili. L’arte ne è un esempio. Rosa Bonheur, pittrice dal tratto felice come il cognome che indossa, è l’esempio di una passione ostinata quanto il talento.

di Francesca Girardi

Prendiamo una persona con la passione per la pittura, mettiamola in un ambiente agreste e abitato da animali, ad esempio un luogo caldo e assonato, come quello di una stalla, oppure leggero e garbato, come sono i pascoli verdi e i campi arati.

Incontriamo questi angoli di mondo dipinti su tele, con precisione e minuzia di dettaglio, realizzate dalla persona appassionata di pittura che ne ha osservato ogni aspetto, ogni particolare e, come uno spezzone di un film in pausa, li ha riprodotti attraverso il suo talento. E c’è ancora un dettaglio da aggiungere: per ritrarre con pennello e colore ogni piccolissimo particolare, ha osservato i suoi soggetti con grande attenzione e, per fare questo, ha indossato abiti comodi. Come i pantaloni.

Quindi? Vi chiederete. Che senso ha tutto questo incipit? Cosa c’è di strano?

Ecco, quest’ultima è la domanda giusta e possono seguire due risposte. La prima: nulla di strano, se pensiamo ai nostri giorni. La seconda: molto strano se pensiamo che quella persona è donna, artista, vissuta nel XIX secolo.

Sto parlando di Rosa Bonheur. Ho fatto la sua piacevole conoscenza nelle righe di un articolo che mi ha invitato ad accomodarmi al suo fianco per curiosare sul suo modo d’essere e sul suo “look mascolino” di abiti non “consoni” per una dama di quel tempo.

Rosa nasce a Bordeaux, Francia, nel 1822, l’amore per la pittura è eredità paterna e dettaglio favorevole all’artista perché le permetterà di dare dimostrazione di quella che Martha Nussbaum chiama capability, ovvero ciò che le persone sono realmente capaci di fare e di essere. L’essere capace di rappresenta la minima e necessaria base sociale, e per Rosa così è avvenuto sia nella carriera sia nella vita.

Dipinge i suoi capolavori in una cornice artistica che rivolge sempre più interesse − come racconta Linda Nochlin nel suo saggio Perché non vi sono grandi artiste? − alle “tele di dimensioni minori, generalmente con soggetti di vita quotidiana, al posto delle grandiose scene mitologiche o religiose delle epoche precedenti”.

Rosa si distingue per la naturale vocazione a ritrarre, con grande attenzione e precisione, il mondo naturalistico dove protagonisti sono soprattutto gli animali, dei quali dà forma sia alla loro anatomia sia alla loro anima. E si distingue per la sua bravura ancora prima di essere l’artista Rosa Bonheur quando, ragazza diciannovenne, nel 1841 due delle sue tele vengono mostrate al Salon, l’importante esposizione parigina di pittura e scultura che aveva luogo presso il museo Louvre. Fu l’occasione per mostrare il suo talento: ritratti perfetti, meticolosamente curati in ogni più piccolo particolare. La capacità di Rosa diviene presto un vero e proprio lavoro, tanto da permetterle di vivere delle sue opere come Gatto Selvatico, realizzata nel 1850, grazie alla quale Rosa si garantì indipendenza economica.

L’indipendenza e il vivere del proprio lavoro sono pensieri che l’artista respira nell’ambiente famigliare attraverso i precetti di Saint-Simon del quale il padre di Rosa era seguace; tra gli altri insegnamenti, c’era l’intento di elevare il ruolo della donna, oltre che promuovere la realizzazione di una società nella quale a ciascuno secondo le sue capacità, a ogni capacità secondo le sue opere. E così è stato, perché Rosa ha nelle sue mani un talento, un’arte, un lavoro.

Nella narrazione di Rosa un posto è rivestito dall’abitudine di indossare i pantaloni e per poterlo fare ha chiesto, e ottenuto, il permesso “di travestimento” alla polizia. Infatti, i pantaloni erano proibiti alle donne e le furono concessi solo per “ragioni di salute” e a patto di non indossarli quando si recava a balli o eventi pubblici.

Perché Rosa scelse di indossare i pantaloni? Per una semplice necessità pratica: per poter ritrarre gli animali aveva bisogno di vivere accanto a loro, frequentarli da vicino per osservare la loro anatomia. Una consuetudine d’abbigliamento che sceglie per una comodità legata alla sua carriera, come avrebbe potuto frequentare e osservare ambienti agresti tra pizzi e sottane? E nonostante vi sia una motivazione del tutto logica e pratica, il permesso ottenuto diventa firma della tela della sua vita. Il pantalone diviene, intenzionalmente o per naturale conseguenza, simbolo dell’anima femminista che l’ha portata a fidarsi e contare esclusivamente su se stessa, lasciando impronte di emancipazione. Avrebbe dovuto rinunciare alla sua indipendenza d’artista e al suo essere Artista conosciuta e richiesta solo per seguire una tradizione? Una forma mentis che riconosceva sì alle donne un ruolo, ma limitato all’essere capaci di gestire una famiglia, di averne cura, di provare compassione?

Va ricordato che, storicamente, il matrimonio era uno dei presupposti necessari alla donna per garantirsi una posizione sociale che, tuttavia, la relegava a seguire quello che per certi versi può essere un talento femminile: il prendersi cura. Tutto ciò era limitante e sembrava veramente molto difficile, se non impossibile, potersi occupare di qualcosa d’altro rispetto alla famiglia.

Rosa Bonheur è uno dei profili umani che non vuole sottostare a quanto la “tradizione” si incaponisse a portare avanti. Donna capace di una forma d’arte che ha permesso al suo nome di essere indelebile come le sue tele, è stata capace di vivere attraverso possibilità altre da quelle riconosciute socialmente. Rosa, accanto alla capacità intesa come abilità nel fare qualcosa, ha dimostrato forza e determinazione nel compiere una scelta. Poteva stare al margine della via professionale e seguire la strada aperta e consolidata delle convenzioni sociali; invece ha scelto di sposare se stessa, contare su quanto il suo talento le poteva dare per affermarsi come donna con carriera artistica. Uno spirito di emancipazione formato dalla vita stessa; la madre si era presa cura della famiglia, seguendo la naturale propensione femminile e senza avere il minimo riconoscimento dal marito, nemmeno quando con tutte le sue forze aveva cercato di superare la condizione di miseria. L’esempio materno non era per Rosa un esempio da seguire, e forse questo le ha dato la motivazione di scegliere di rimanere nubile ed essere indipendente, vivendo delle sue commissioni artistiche.

Rosa Bonheur è arte, è coraggio, è femminismo, è emancipazione, è anche esempio di sorellanza. Il legame che si crea e cresce tra donne è un vincolo forte, tenace e di questo Rosa ha fatto esperienza. L’amicizia con Nathalie Micas inizia a Parigi nel 1836, all’età di 14 anni e durerà per ben 53 anni, fino alla morte dell’amica. Un lungo periodo di relazione sincera, di cuore, tra due persone che vicendevolmente si scoprono dapprima amiche, poi sorelle e si avvicinano sempre più. Un sentimento che le porta a trovare l’una nell’altra una persona con la quale poter condividere ogni passo della vita; Rosa si trasferirà a vivere presso la famiglia Micas, proverà un senso di accoglienza e calore universale, una famigliarità che va oltre i legami naturali di sangue. Fu il padre di Nathalie a motivare Rosa affinché aprisse un proprio atelier, un gesto che si fa portavoce di sincero affetto e solidarietà.

Rosa ha dimostrato di sapersi fidare di se stessa, ma anche del mondo, quel mondo che da sempre ha richiamato i suoi occhi e le sue mani affinché con pennello e colore ne potesse ritrarre tutta la bellezza. In quella società che poteva essere limitante e che avrà mancato di comprensione, Rosa ha comunque intravisto terreno fertile per far fiorire il suo talento, per provare sentimenti seguendo percorsi diversi. È stata capace di avvicinarsi a luoghi non consoni a una donna, ha saputo scegliere un cambio di abbigliamento che forse può fare più rumore della sua vena artistica, senza tuttavia offuscarla; ha dimostrato di non voler rinunciare al proprio talento e al proprio valore da cui sono nate opere delicate, ricche di minuzia, tele di cui Rosa inizia ad averne cura sin dalle prime fasi di osservazione.

I suoi dipinti sono arte da ammirare ed espressione di un linguaggio nato dal sentirsi fedele alla propria essenza femminile che non l’ha fermata, ma l’ha spinta a raffrontarsi e scavalcare il perimetro maschile, permettendo alla sua voce artistica di parlare attraverso le linee e le cromie di tele pregiate e di grande fama. Una vita che da cui sono nati capolavori unici, e una vita che fa parlare per il suo saper guardare oltre la linea dell’orizzonte, senza lasciarsi distrarre dai pregiudizi e dalle convenzioni. E quanto avremmo perso se Rosa Bonheur avesse scelto diversamente.