Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Wislawa, poetessa ribelle

di Francesca Pacini

Quando si pensa alla poesie, specie se l’autrice è una donna, si immaginano spesso versi che trattano l’amore, e il nostro rapporto con lui. Nulla di più lontano dalle opere della Szymborska, un vero e proprio “tornado” letterario che si abbatte sui luoghi comuni e sui protocolli…

 

Non sempre la poesia è lirismo,  romantico sentimento  del vivere e dell’amore. I versi di Wislawa Symborkasono molti diversi. Lei  è una donna libera, forte, ribelle, connotata da una vera e prpria vocazione anticonformista. Le sue poesie sono lontane da ogni convenzione. Anzi, non sembrano nemmeno poesie. Lontana dai sentimentalismi, graffia e incide attraverso i suoi  versi secchi, appuntiti, più vicini alla prosa. Meno spazio all’amore di coppia  a favore di incursioni nei temi sociali, affrontati con acume e ironia. Lei ama rompere i totem e i tabù, evidenziano i vizi di un mondo sempre più decadente, lontano dalla sua umanità. Ma lo fa quasi sempre prendendo in giro, la sua irriverenza è la stessa di chi non si piega al Potere e neanche alle etichette sociali. Le parole che usa sembrano essere legate da un filo sottile in cui ognuna abita un posto perfetto, imprescindibile dagli altri, composti da quelle che le accompagnano.

Ci sono alcune poesie che più di altre evidenziano l’irresistibile forza di questa incredibile donna, come quella in racconta tutta la sfilza di banalità che accompagnano un funerale:

 

Il funerale

“così, all’improvviso, chi poteva pensarlo”

“lo stress e le sigarette, glielo dicevo”

“così, così, grazie”

“scarta quei fiori”

“anche per il fratello fu il cuore, dev’essere di famiglia”

“con  questa barba non l’avrei mai riconosciuta”

“ se l’è voluto, era un impiccione”

“doveva parlare quello nuovo, ma non lo vedo”

“Kazak a Varsavia, Tadek all’estero”

“tu sola hai avuto la buona idea di prendere l’ombrello”

“era il più in gamba di tutti, e a che gli è servito?”

“una stanza di passaggio. Baska non vorrà”

“certo, aveva ragione, ma non è un buon motivo”

“con la verniciatura delle portiere, indovina quanto”

“due tuorli, un cucchiaio di zucchero”

“non erano affari suoi, che bisogno aveva”

“soltanto azzurre, e solo numeri piccoli”

“cinque volte, mai una risposta”

“d’accordo, avrei potuto, ma anche tu avresti potuto”

“meno male che almeno lei aveva quel piccolo impiego”

“beh, non so, probabilmente parenti”

“il prete è un vero Belmondo”

“non ero mai stata in questa parte del cimitero”

“l’ho sognato la settimana scorsa, un presentimento”

“niente male la figliola”

“ci aspetta tutti la stessa fine”

“le mie condoglianze alla vedova, devo fare in tempo a”

“però in latino era più solenne”

“è la vita”

“arrivederla, signora”

“e se ci bevessimo una birra da qualche parte”

“telefonami, ne parleremo”

“il quattro o il dodici”

“io vado per di là”

“noi per di qua”

 

Desacralizzare la solennità di alcuni momenti ritenuti “intoccabili” ci aiuta a vedere le cose per quello che sono, sottolineando come neanche la morte sfugga a quel corteo sociale in cui “la vetrina” maschera e camuffa la banalità di una umanità a volte inconsistente, priva di spessore, volume e profondità. Con lo stile penetrante che la caratterizza, la poetessa polacca demolisce le buone maniere dei protocolli entrando negli spazi vuoti in cui ognuno si rivela per ciò che è.

Scherzare sulla morte significa anche ricordarci che siamo tutti tremendamente umani, e che presto, terminato il funerale, si torna alla vita e alle sue preoccupazioni.

Esistono poetesse  “politicamente scorrette”, come la Szymborska. E sono una benedizione.

Torneremo a raccontare di lei. Quando? La prossima volta.