Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Gli amanti della notte, Mieko Kawakami, edizioni e/o

di Paolo Maragoni

Quando apro, e leggo, libri di autori giapponesi, senza distinzione di genere, ho come la percezione di trovarvi nelle pagine una buona parte di storia comune a ogni essere umano. Non esagero, e magari chi ne ha letti comprenderà cosa intendo dire, così chi non lo ha ancora fatto capirà, provando.

Si entra in una sfera che galleggia fuori dal nostro corpo, oltre la nostra anima. E quella diviene un occhio, delicato e imparziale, che osserva l’essere e lo confronta con ciò che vorremmo essere. L’arte della scrittura orientale è sottile, crudele e tagliente, al tempo stesso sensuale, dolce e romantica: in sintesi, contiene ogni petalo del “Fiore di Plutchik”.

Sì, perché i personaggi che abitano la narrativa orientale, giapponese in particolare, percorrono strade sfidanti nel loro incedere quotidiano, tenendo lo spirito asservito alla realtà e, al tempo stesso, lo usano come oasi di fuga dalla stessa.

Nel suo ultimo romanzo, “Gli amanti della notte” (edizioni e/o), Mieko Kawakami ci mostra i lati dell’universo femminile in continua lotta tra il sentire e l’essere, il desiderare e il fare, lo specchio e il sé. La vita di Fuyuko, trentenne editor e correttrice di bozze freelance, a caccia di ostinati refusi, scorre vuota e meccanica, per accendersi una sola volta l’anno: la vigilia di Natale, giorno del suo compleanno, Fuyuko esce a passeggiare di notte. Il rapporto ambiguo con la bella Hijiri, editor che le procura il lavoro, e quello ideale con Mitsutsuka, fantomatico professore, creano la trama del romanzo in cui la protagonista, segnata dalla violenza sessuale subita da ragazzina, disinteressata a crearsi una vita sociale, fluttua ubriaca di sake tenendo a bada le proprie insicurezze.

Un racconto, quello dell’autrice del best-seller “Seni e uova” (edizioni e/o), affascinante nella sua semplicità, denso di scelte fatte da donne, per altre donne, che dichiarano il rifiuto degli status sociali, finendo per accettarli, o che mostrano la dipendenza dall’universo maschile per, poi, aderire al manifesto femminista.

Eppure, senza slogan impetuosi, la delicatezza di questo testo viene fuori dirompente, le tematiche care all’autrice, presenti nei dialoghi, segnano il carattere dei personaggi, ma “Gli amanti della notte” appare più una sorta di visione analitica della nostra esistenza. La solitudine e l’incomunicabilità, la violenza e il sesso fisiologico, i pregiudizi e i consigli, il body shaming e il mobbing, l’alcoolismo e l’impoverimento: tutto presente, bene in vista o nascosto tra le righe.

Eppoi, la metafora della luce che accompagna tutta la storia. La luce che resta nei colori della notte, attraversa i solidi perdendosi nelle galassie, illumina gli specchi nei quali ci sorprendiamo. La luce come vita in grembo, come candele danzanti, luminarie calde o fredde, come rinascita e sofferenza. La luce come argomento scelto per alimentare un sentimento d’amore utile per poter sopravvivere, benché senza futuro.

Girando in strada, dopo aver letto queste pagine, ci accorgiamo del lavoro fatto da Mieko Kawakami, di come abbia cercato valori e sentimenti dati per scontati da noi tutti, ma proprio per questo condizionanti perché invisibili. Quante persone incontriamo che si chiedono come dormono o mangiano? O quante riflettono sul come si vedono nei momenti felici e in quelli tristi? Quanti, passeggiando sotto il sole, immaginano che in altre zone del mondo, nel medesimo istante, c’è chi cammina in compagnia della luna?

Come Fuyuko col sake, spesso mi ritrovo a respirare il buio della mia stanza da letto, nel silenzio delle notti passate a svelare sogni e parole per colmare la solitudine; a guardarmi nello specchio rifiutando ciò che vedo, a svegliarmi al mattino con l’augurio che faccia presto sera. E quante volte ci viene utile idealizzare anziché agire, ingoiare le parole degli altri evitando di proporre le nostre, ubriacarci per poter accettare il confronto con le emozioni represse. Fuyuko, nel solitario lavoro di “cerca refusi”, si sente sollevata nel poter sacrificare la propria emotività: legge e corregge manoscritti senza cercare il senso delle parole e dei contenuti. E quando parla con i suoi “amici” usa le loro stesse parole per interloquire, come se non avesse un proprio vocabolario. E le basta, va bene così. Per questo, al termine del suo “eroico” viaggio, allorché le capita di scrivere una frase di sua fantasia, rimane stupita dal non capirne origine e significato.

È struggente sapete, ma rende consapevoli. La nostra società è incompatibile con la libertà di espressione degli individui che la animano, le conseguenze sono spesso irreparabili, acquisire consapevolezza aiuta l’autostima e questa permette di accettare e voler bene alle proprie emozioni, dando loro un senso.

Ecco, intendevo questo riguardo gli autori giapponesi: mi ritrovo a leggere me stesso nelle vite narrate dalla loro fantasia, essendo cosciente che di fantasioso vi troverò solo i nomi.