Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Essere la signora Maisel

di Paolo Maragoni

La serie televisiva americana che inaugura il filone delle donne di successo, forti, indipendenti, di successo, rischia di diventare una sorta di Truman Show al femminile in cui gli stereotipi prendono il posto della realtà. Ẻ veramente necessario mettere i pantaloni, ancora oggi, e competere invece di accogliere? E l’amore?

Quanto amo Rachel Brosnahan e la sua Midge Maisel. Da zero a dieci? Mille.

La popolarità di La fantastica signora Maisel, donna ebrea newyorkese ideata da Amy Sherman-Palladino e ispirata alla storia vera di Joan Rivers, che da casalinga intraprende la carriera da stand up comedian, ha aperto la strada al genere. Detective, poliziotte, avvocate, scienziate sono amate dal pubblico; le donne hanno perso il ruolo imposto loro dalla cultura patriarcale, non sono più mogli, fidanzate, casalinghe, streghe o sante, bensì protagoniste della propria storia. Con The morning show e Big little lies, siamo entrati nelle pieghe del movimento #MeToo e nella crudezza della violenza di genere della borghesia patinata. Personaggi come Fleabag o Lidia Poët, delle serie omonime, e Daenerys Targaryen, di Il trono di spade hanno influenzato l’inconscio collettivo, offrendo un nuovo target ai produttori di serie.

Negli ultimi tempi, le case di produzione ricercano libri con protagoniste femminili determinate, diciamo risolute, che ispirino nuove serie tv. Il personaggio femminile affrancato diviene sempre più garanzia di successo quando viene messo al centro di uno show. Mostrare donne emancipate, dure, anche autoritarie, e comunque più intelligenti dei maschi, sembra una carta vincente.

Eppure, nonostante le donne delle serie siano sempre meno trofei, o insiemi di stereotipi, in esse rimangono comunque personaggi irrisolti dal punto di vista sentimentale. Conosciamo quasi sempre donne in crisi, col cuore spezzato, abbandonate, tradite o consumate da rapporti d’amore infelici. Tanto realizzate nel lavoro, quanto sconfitte nella vita sentimentale, titolari di imperi finanziari, rinnegate da uomini scialbi, brillanti in pubblico, depresse nel privato.

Lo sono perché il femminismo non ha ben fatto i conti con “l’amore”? Possiamo domandarci se il femminismo sia riuscito ad affermare modelli femminili emancipati anche in amore o se, in fondo, alle spettatrici non dispiace affatto soffrire e identificarsi con loro? Oppure: il conflitto d’amore è sempre quello che meglio funziona nell’arco narrativo delle storie?

Di certo, in tutte le storie c’è un conflitto da risolvere, in quelle d’amore allo stesso modo deve esistere un problema per ottenere un cambiamento. Nel contempo, le donne delle serie tv devono apparire gradevoli, decise sì, ma amabili e femminili, per attrarre un largo consenso di pubblico: questione di business.

Mi ritrovo nel pensiero di Jennifer Guerra che, nel suo saggio sul femminismo, afferma l’esistenza di una certa retorica sui personaggi femminili “tosti”. Si tende a creare un’idea di donna sicura di sé, istruita, che sa quello che vuole e in grado di competere con il maschio. Ma questa immagine non è forse l’ennesimo stereotipo di donna dotato di autocontrollo e resilienza venuto alla luce con il neoliberalismo?

Questi personaggi delle serie tv sono straordinarie, hanno sempre il destino nelle loro mani, e quando si tratta di narrazioni con protagoniste donne di colore, o trans, questo aspetto viene ancora di più esaltato. Ed è qui che nasce il problema, la paura di creare personaggi inadeguati se non per il solo “lato sentimentale”. Allora, queste femmine sanno fare tutto, tranne che innamorarsi.

Brit Marling, attrice statunitense, poi sceneggiatrice, regista e produttrice, durante un’intervista per il New York Times di qualche anno fa, dichiarava di non voler essere una protagonista femminile forte, se il potere di questa viene definito dalla violenza e dal dominio.

“Give me a man but in the body of a woman I still want to see naked”. Questo intendiamo quando diciamo di essere alla ricerca di personaggi femminili forti.

Perché è difficile immaginare la femminilità stessa, l’empatia, la vulnerabilità, l’ascolto, come “forti”, e quando ci troviamo a guardare le storie con protagoniste donne queste sono le qualità “inadeguate” che vediamo sconfitte da una mascolinità sovrabbondante.

La Marling immaginava il personaggio di una donna veramente libera, alla ricerca dei suoi desideri, delle sue necessità, e dei bisogni sepolti, soprattutto, per soddisfare desideri, necessità e bisogni degli uomini.

Purtroppo, tranne poche eccezioni, le narrazioni finiscono sempre per uccidere i personaggi femminili, e non solo nella bibliografia e cinematografia del passato. Antigone, Giovanna d’Arco, Thelma e Louise come le donne in  Blade runner 2049 finiscono tragicamente proprio per il desiderio di libertà e il coraggio d’inseguirlo. Possono sfidare i re, rifiutare la bellezza e difendersi dalla violenza, ma resta tutt’oggi arduo per un autore immaginare un mondo in cui queste donne libere possano esistere senza conseguenze brutali. Pertanto, le eroine delle serie tv devono disciogliere la loro femminilità per imporsi come un uomo sugli uomini.

Magari, se le case di produzione ricercassero non solo libri con protagoniste femminili forti, ma testi che scavano, insegnano e celebrano la femminilità senza ritenerla inadeguata potremmo dire di aver iniziato a immaginare un nuovo mondo e a condividerlo con gli altri anche attraverso le serie tv.