Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Di violenza e di abusi

di Lizia Dagostino

Ilaria Salamandra è un avvocato penalista che ha un fortissimo senso della giustizia, che non fa sconti a nessuno. E che, come donna, conosce molto bene i diritti di quello che non è più “il secondo sesso”, per dirla con Simone De Beauvoir, ma che si muove comunque in contesti ancora troppo spesso discriminanti.  Con lei discutiamo sul tema degli abusi, un vero dramma sociale.

 

 Spesso, come psicologa, accompagno donne alle quali gli avvocati dicono che la legge non ammette ignoranza.  La giustizia penale, spesso, appare razzista e classista, stenta a riconoscere le offese reali e le violenze perpetrate, soprattutto, contro le donne…

Il processo penale è quanto di più umano esista. Il reato non è altro che un fatto antigiuridico e antisociale, che viene sanzionato dall’autorità giudiziaria con una pena adeguata.
Il processo è fatto da esseri umani e va da sé che all’interno delle aule di giustizia si riproducano le stesse dinamiche che possiamo trovare al di fuori delle mura dei tribunali, nella nostra società.

La violenza istituzionale di genere esiste ed è un problema diffuso. Si configura quando il nemico ha le fattezze di chi dovrebbe assisterti: l’assistente sociale, lo psicologo, l’avvocato, il poliziotto, il magistrato…

Le radici di questo problema sono da ricercarsi nel maschilismo interiorizzato nella nostra educazione sociale, che ancora oggi ci fa ascrivere alle donne le “colpe” di qualsiasi controversia.

Per questo, in caso di reati connessi alla violenza di genere, consiglio sempre di rivolgersi ad avvocati specializzati che abbiano innanzitutto affrontato un percorso di comprensione della violenza e soprattutto dell’ascolto della vittima.

 

Incontro persone ansiose che pretendono di sentirsi più sicure con l’esclusione, con la separazione fra i matti, i cattivi e gli uguali, i sani, i perbene…

 Credo che ciò sia assolutamente compatibile con il momento che stiamo attraversando. Siamo stati rinchiusi per mesi, separati dagli affetti più cari, dal mondo e soprattutto dal confronto.

Ecco, siamo disabituati al confronto con chi non la pensa come noi. Oggi si cerca continuamente la conferma alle proprie convinzioni mentre il disaccordo ci mette a disagio.

Assisto e ho assistito molti ragazzi vittime dell’emarginazione. La loro solitudine li ha portati a compiere illeciti, anche molto gravi. In questi casi è fondamentale il supporto psicologico e, molto spesso, psichiatrico. L’ascolto, la comprensione e l’accoglienza dell’altro sono molto più efficaci della ghettizzazione.

 

Oltre lo statuto di vittima, è necessario lavorare sulla responsabilità personale, sulla prevenzione sociale, risolvendo la visione narcisistica della sofferenza che chiede il risarcimento attraverso la giustizia penale

Talvolta le vittime di violenza sono vittime due volte: del loro carnefice e di loro stesse. Questo atteggiamento che distrugge emotivamente e mentalmente le vittime fa parte della nostra educazione. Ricollegandomi a quanto dicevo poc’anzi, le donne vengono educate sin da piccole a sopportare qualsiasi fatica. E questa iper-responsabilizzazione delle donne, anche quando sono vittime, fa da contraltare ad un giustificazionismo scellerato del loro carnefice.

Spesso le donne vittime di violenza non si allontanano dall’uomo che le maltrattata perché ancora convinte che una donna senza un uomo non sia “di valore”, sia irrisolta, fallita.
Per questo è necessario educare le nuove generazioni ad una parità di genere “concreta”, che abitui gli esseri umani, sin da piccoli, a considerarsi intercambiabili, senza etichettare lavori, sport o giochi, e soprattutto senza stigmatizzare comportamenti ritenuti non adatti al genere di appartenenza.

Sotto il profilo della giustizia penale, questa talvolta è l’unico strumento che hanno le vittime per potersi allontanare dal partner maltrattante.
Le vittime vanno aiutate a denunciare, ancora oggi.

 

 

Certo, i soldi, la conoscenza, il contesto fanno la differenza per superare la frustrazione e l’abbandono delle persone abusate che hanno la necessità di contattare la realtà attraverso una comunità che accolga e sostenga la rinascita e il processo trasformativo

A  tutte le ragazze che conosco dico sempre “studiate, lavorate, siate indipendenti”.  indubbio che la dipendenza economica sia un enorme ostacolo da superare per molte donne vittime di violenza. Ma le cose stanno cambiando. Innanzitutto l’assistenza legale in giudizio, per alcune categorie di reati inclusi nell’alveo della violenza di genere, può essere coperta da patrocinio a spese dello Stato. Ciò significa che la vittima non dovrà più preoccuparsi di non avere danari per farsi assistere da un avvocato, ma potrà avvalersi di un professionista abilitato al gratuito patrocinio, che la aiuterà ad uscire dalla situazione difficile in cui si trova.
Inoltre, nei casi più gravi, non dobbiamo dimenticare che il codice rosso impone al magistrato del pubblico ministero di ascoltare la vittima entro tre giorni dalla ricezione della denuncia/querela, al fine di determinarsi celermente sulla necessità di adottare eventuali misure cautelari che possano mettere al sicuro la vittima.

 

Negli ultimi anni la giustizia penale è invocata come la soluzione per fenomeni sociali complessi e finisce, talvolta, per criminalizzare la povertà, la marginalità sociale, l’immigrazione. Non abbiamo la percezione di sentirci al sicuro. Eppure, gli anni Settanta (non sono stati solo anni di piombo) hanno previsto lo statuto dei lavoratori, la riforma del diritto di famiglia, il divorzio, l’interruzione volontaria di gravidanza, la riforma psichiatrica e la riforma penitenziaria…

Il cittadino non dovrebbe mai sentirsi colpevolizzato per invocare l’autorità giudiziaria dopo aver subito un torto. E del resto non è tollerabile che, ad esempio, una donna debba aver paura ad uscire di casa dopo le 20:00 da sola. Di nuovo, è un problema di paradigma: bisogna insegnare agli uomini a rispettare le donne, oltre ad insegnare a quest’ultime a difendersi.

 

Oggi parliamo di giustizia riparativa. Cos’è?  possibile?

La “giustizia riparativa” non è altro che un mezzo che permette al presunto colpevole di riparare il danno cagionato a qualcuno.   Secondo alcuni, piuttosto, è la possibilità per la vittima di veder ristorato il torto subito. Ha sicuramente una valenza terapeutica, per entrambi i soggetti. Ma è innegabile che il ristoro  economico del danno ingiustamente arrecato a terzi sia insufficiente, se il colpevole non ha elaborato l’ingiustizia che ha inflitto. Alcuni colleghi direbbero sia un mezzo “per contenere la pena” nei casi disperati: ma io credo fermamente che una sana collaborazione sinergica tra avvocato e psicoterapeuta possa giovare realmente a chi si è macchiato di determinati crimini, affinché comprenda il disvalore delle sue azioni, rifletta e decida di cambiare. Io credo fortemente nell’uomo. In fondo nessuno nasce colpevole.