Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Filosofia  e sufismo: una chiave  per l’umanità?

di Francesca Pacini

Kenan Gursoy – ex ambasciatore turco presso la Santa Sede –  è un filosofo esistenzialista ed è anche un sufi, custode della tradizione di suo nonno, il maestro Ken’an Rifai. Due modi diversi di vivere il mondo e  il destino dell’uomo che  trovano tuttavia diversi punti comuni. E’ a Istanbul che lo incontro per un’intervista che si trasforma in una conversazione…

 Istanbul – febbraio 2024

Ho conosciuto Kenan Gursoy diversi anni fa, quando era ambasciatore a Roma presso la Santa Sede. L’ho rivisto poi a Istanbul, nella  fondazione che onora la memoria del  nonno, Ken’an Rifai, un maestro sufi di grande importanza. Il centro si trova a Fatih, è una costruzione tradizionale che è stata, ed è, la dimora della famiglia.  Ẻ  lì  che si trova anche la tekke (il luogo sacro  in cui si ritirano i membri delle confraternite) in cui i dervisci della confraternita celebravano  il sema, la cerimonia sufi  oggi diventata, purtroppo, uno spettacolo superficiale che mira solo al portafoglio delle frotte di turisti in cerca dei dervisci rotanti. Mi sono emozionata, anni fa, come mi emoziono adesso, tornando in questo posto magico, caratterizzato da un’atmosfera particolarissima, densa di voci passate, di cultura, di spiritualità.

Già il giardino sembra annunciarla, ma è soprattutto all’interno, fra i volumi della libreria immensa e lo spazio mistico di questa tekke meravigliosa, unica, che si avverte una presenza invisibile eppure forte, persistente. Kenan Gursoy è un uomo d’altri tempi, e non certo per un fatto anagrafico. Ha uno spessore, una dignità, una levatura intellettuale oggi  rarissima. Elegante, raffinato, e anche dotato di quello squisito senso dell’umorismo che distingue i turchi. Oggi come allora, troviamo nel francese la lingua che ci connette. Ha infatti studiato filosofia all’università di Rennes e alla Sorbona, specializzandosi nell’esistenzialismo, per poi continuare la sua carriera di accademico insegnando all’Università. Dunque Sartre ma anche la mistica sufi, di cui è testimone e custode. Una combinazione affascinante, unica. Come il posto in cui mi accoglie.

Professore, filosofo e sufi. Le chiedo: quando la filosofia ha incontrato il sufismo? O è accaduto  il contrario?

Sono nato in una famiglia sufi tradizionale, ma allo stesso tempo moderna. Mio nonno Kenan’Rifai  nella seconda parte del diciannovesimo secolo è stato Direttore generale di diversi dipartimenti dell’Impero Ottomano dell’epoca. Successivamente è stato il direttore di un importante liceo di Istanbul, Istanbul lisesi. In seguito ha continuato ad essere un alto funzionario presso l’Accademia nazionale per l’Educazione, ed è stato membro dell’Istituto scientifico nazionale dell’educazione.

Ha inaugurato una tekke (il convento in cui si ritirano i membri delle confraternite, ndr) qui, nel luogo in cui troviamo adesso, che radunava molte persone fra cui dervisci, mistici, ecc. che  arrivavano per i rituali, per intrattenere conversazioni, per dialogare con il loro maestro. C’erano artisti, filosofi, pensatori…C’erano anche persone che appartenevano a fedi diverse come i cristiani, gli ebrei. C’era, insomma, un’educazione spirituale. Le persone eseguivano i riti, suonavano composizioni realizzate da mio nonno e dai suoi discepoli, praticavano lo zikr (la ripetizione del nome di Dio, ndr).

Mio nonno conosceva molte lingue, ed era contatto con molte tariqa.  E’ stato commentatore, un titolo importante per i dervisci rotanti.

In Ogni secolo il mondo sufi turchi ha prodotto   uno o due commentari importanti. Nel ventesimo secolo ci sono stati quattro commentatori importanti per il Masnavi ,  fra i quali compare quello composto da mio nonno.

Parlava molte lingue, era anche in contatto con giovani europei. Conosceva anche lingue antiche come il latino, il greco, l’arabo, il persiano… C’era dunque un ambiente stimolante. Mio nonno ha formato alcuni artisti e letterati, compositori, cantanti, filosofi.

Uno dei suoi discepoli, Semiha Jemal, è stata la prima donna filosofa, accademica della Turchia. Ẻ morta nel 1935. Si era occupata di undici dialoghi platonici tradotti in turco,  e di Epitteto. Lei stessa ha scritto alcune opere. Tutte queste persone rappresentavano la scuola Kenan Rifai, fra il 1916 e il 1950.

Non l’ho conosciuto, mio nonno. Ma questa è stata la mia educazione. A casa si parlava soprattutto di sufismo, di filosofia, di letteratura…Era impossibile non essere al corrente di cosa accadeva nel mondo sufi  dell’Islam turco. Ma gli avvenimenti storici, nel 1925, dopo la riforma di Mustafa Kemal Ataturk, hanno portato alla chiusura delle tekke. C’erano ragioni politiche, religiose. Mustafa Kemal ha sempre rispettato gli artisti e gli intellettuali sufi, anche quando ha formato il primo parlamento ad Ankara, e il vicepresidente del suo parlamento era un mevlevi. Non c’è stata una riforma nata apposta per distruggere il sufismo, ma piuttosto rivolta a una certa degenerazione di alcuni suoi aspetti. Dunque una riforma controgli aspetti negativi  delle tekke. Si è sentita l’assenza della spiritualità in questa riforma, se ne è discusso. Abbiamo perduto qualcosa? Abbiamo guadagnato qualcosa? Se ne discute ancora, certamente. Ma cosa ha fatto la mia famiglia? Mio nonno ha chiuso subito  la tekke, era l’epoca delle riforme e della modernizzazione della Turchia. Forse un giorno saranno di nuovo aperte,  svolgendo  una funzione accademica. Lui ha  continuato a formare dei giovani nella sua casa, accanto alla tekke, attraverso dialoghi, incontri…

Come accadeva in famiglia, anche io ho studiato le lingue. Per imparare il francese sono stato mandato alla scuola cattolica Saint Benoit, dove come credente musulmano mi sono trovato benissimo. Ho anche vinto una borsa di studio. Ho fatto tutte le tappe del professorato. Sono stato invitato all’università Galatasaray, dove ho insegnato per tre anni e dove sono stato Direttore del Dipartimento di Filosofia. Sono stato anche direttore dell’Istituto di Scienze Sociali, nel 2009 sono stato eletto dal Dipartimento Rappresentante della Turchia presso la Santa Sede. Era la prima volta che un filosofo veniva nominato Ambasciatore. Ero anche il primo civile che non proveniva da professioni di relazioni internazionali.

Ho esitato un po’, poi ho accettato perché mi occupavo di filosofia etica, filosofia religiosa. Perché no, allora?  L’etica  comporta anche il dialogo fra religioni. Il sufismo era una piattaforma importante per questa forma di dialogo. Non sono stato considerato come straniero: il mondo delle relazioni internazionali mi ha accettato. Nella Santa Sede c’erano professori che svolgevano, appunto, professioni accademiche. Ci siamo intesi molto bene fra noi. Sono stato ricevuto da amici dell’Università gregoriana, dell’Istituto Antoniano, il cui vecchio direttore era Monsignor Padovese.

Conoscevo già  l’Italia perché ero stato delegato – come rappresentante della mia università  – all’Università di Bologna. Quando sono arrivato presso la Santa Sede ero fra amici! Ho frequentato le università per tenere conferenze, partecipare alle tavole rotonde. C’erano diverse associazioni collegate alla Santa Sede che mi hanno ospitato.

I mistici di ogni tradizione hanno trovato Dio nel loro cuore. Come si pone il sufismo all’interno dell’Islam di cui è figlio?

Alcuni occidentali pensano che il sufismo sia una setta. Invece è un’attitudine del profondo, che si trova all’interno dell’Islam.

Infatti il misticismo in ogni tempo non è stato una setta. Penso a Teresa D’Avila, a San Giovanni della Croce. Parlano un linguaggio universale…

Sì, universale.  L’esperienza universale della forma umana…

La religione stessa potrebbe diventare una setta perché il fermarsi  a un’ideologia, senza dialogo, rappresenta un problema. Vedo invece l sufismo come un ponte verso il dialogo, la libertà, l’universalità. Possiamo parlarne per aiutare chi non conosce il sufismo a comprendere meglio di che si tratta?

Come filosofo esistenziale – dico esistenziale e non esistenzialista – rifiuto  sempre la sistematizzazione unica per l’esistenzialismo. Dunque anche per il sufismo non mi è possibile dare una definizione unica. Ma, in generale,  si può descrivere il modo di essere, l’attitudine dei  sufi, il loro modo di vivere, la saggezza, la consapevolezza.

Il mistico vive  sempre un’esperienza religiosa, è sempre in rapporto con la tradizione religiosa in cui si trova. Ẻ anche un commentario, un’esegesi, di ogni religione nella quale si trova.  Per ciò che riguarda il quadro dell’Islam, il mistico sufi si considera come la tradizione mistica dell’ultima religione, dell’ultimo profeta, Maometto. Il sufi si considera sempre in relazione a una certa apertura verso gli altri. C’è un certo ecumenismo che dà il peso, l’importanza, non all’universale  ma al particolare, dunque  all’uomo, all’individualità. Tuttavia  è importante che una persona non si limiti a sé stessa. Il sufi  lotta, nel fondo del suo essere, del suo cuore, della sua anima, contro il suo  egoismo. “Chi conosce sé stesso conosce il suo Signore” recita un hadit. Conoscersi è uno slancio, un orientamento verso il Signore. La trascendenza della divinità salva un po’ l’individuo dalla sua individualità egoista attraverso un’apertura perpetua verso l’esterno.  Ma questo non deve diventare un  sincretismo nel qualche ci perderemmo. Dobbiamo mantenere la consapevolezza di  una certa tradizione che simbolizza. Una tradizione che dona forma. Siamo pittori, scultori, artisti, in qualunque ambiente ci troviamo ci misuriamo con delle forme. Quindi per la religiosità vale la stessa cosa…

Si usa la forma per poi abbandonarla, quindi …

Superarla, trascenderla.  Siamo nella forma ma per vedere oltre questo aspetto. Avvertiamo  l’essenziale, ma ciò che è essenziale è ciò che ci trascende. Credere nella trascendenza di un Dio che ci salva dal nostro egoismo, dalla nostra individualità che non è più una prigione ma diventa una via per trascenderci, per superarci attraverso una  trascendenza unificante, e unica. Ecco, il sufismo.

 

Penso al nostro poeta Dante, con il suo “L’amor che muove il sole e l’altre stelle”. La musica, la poesia, la letteratura parlano con amore alla nostra profondità. Ma dove mettiamo la razionalità, e  Cartesio? Come la poniamo  in rapporto a questo slancio verso l’assoluto che si trova nel cuore? Si parla, a proposito del cuore, di “intelletto d’amore”. La razionalità non basta.

Voilà. Certo, i maestri sufi hanno detto la stessa cosa. Ẻ l’amore. Tutto è un’occasione per  sentire questo amore. Dunque bisogna approfondire la conoscenza di sé, ma questa conoscenza è un’apertura verso la trascendenza. La nostra individualità, gli altri, le differenze nel mondo, la natura…piano  piano veniamo indirizzati verso l’unità divina. Siamo qui per sentire in noi stessi questa verità. Non c’è un’altra via immaginabile che cominciare da sé stessi.

Come filosofo devo parlare anche della ragione. L’armonia con la quale comprendiamo la natura, il macrocosmo, e il microcosmo che noi stessi siamo, e che l’uomo è, nel quadro del sufismo comporta il non rifiuto  né della vita, né della storia, né della facoltà di essere umani, con una biologia…Lo si accetta, ma ci si assume la responsabilità del rapporto con tutto ciò che è intorno a noi, e ci si presenta. La ragione non è fuori dalla nostra esistenza, dalla nostra particolarità, dalla nostra individualità. Noi ragioniamo, mettiamo ogni cosa al suo posto.

La società  oggi è malata…

Sì, stiamo attraversando tutti una malattia.

Un momento molto difficile anche perché – specialmente l’Occidente- ha confidato troppo nella materia, di qui l’egoismo materialista…

L’egoismo della materia!

E ora si assiste a un grande cambiamento, bisogna decidere se cambiare, evolversi, oppure opporre resistenza. Ma se resistiamo ai cambiamenti accade come in passato, si arriva a punto morto. La spiritualità è molto importante in questo momento,  ma c’è la new age con tutti i suoi falsi profeti. Non ci si vuole impegnare…

Perché è più pericoloso. Forse Mustafa Kemal aveva sentito il pericolo di questo aspetto della spiritualità, a livello delle tekke. C’era una degenerazione. E così le forme sufi sono transitate nell’arte, nella letteratura, nella musica…insomma, nelle manifestazioni culturali, attraverso uno spirito più elevato.

 

Ha menzionato un aspetto molto bello del sufismo: c’è la musica, c’è l’arte…

Non c’è sufismo senza arte, senza manifestazione culturale.

Pensa che questo mondo ha perduto la poesia? Non ci sono poeti, simboli, immaginazione…La crisi che viviamo non viene forse anche da questo? Non siamo troppo razionali, troppo specializzati, troppo scientifici?

Ẻ il caso della fine del diciannovesimo secolo, e poi del ventesimo secolo. Ad esempio la filosofia ha cercato di superare questo fatto. Filosofi moderni e post moderni sono razionalisti. Ci sono aspetti problematici con la materia, certamente. Ci può ancora essere un neopositivismo, tuttavia c’è una ricerca della spiritualità, anche se non si sa dove si va, e dove si può andare per migliorare. In generale, noi ci troviamo davanti a questo capitalismo colonialista, questo capitalismo selvaggio, che ci sottrae la nostra umanità, la nostra particolarità, rendendoci più egoisti. Ci viene tolta la nostra umanità, sì. Ci si riduce alla consolazione, ma sempre attraverso un vissuto egoista.

Bisogna superare questo aspetto per cogliere l’umanità attraverso la  memoria della saggezza delle tradizioni antiche. Per dialogare con le altre religioni abbiamo bisogno dell’universalità che ci mette in contatto gli uni con gli altri. A proposito del sufismo e della filosofia, penso che l’alleanza fra l’etica e il sufismo potrebbero salvarci. Sembrano due cose diverse ma non lo sono. L’etica, la religione e la filosofia potrebbero essere considerate nella loro unità, a livello di una struttura comune. Ẻ anche il caso del sufismo: non è un allontanamento dalla società, dalla storia. Possiamo cogliere l’etica della spiritualità della tradizione sufi,  e la sua capacità di cogliere l’universale nella sua propria tradizione. Dobbiamo cercare la possibilità di questo aspetto. Sono d’accordo con l’idea che il sufismo possa aiutare questo contatto fra culture, fra uomini. Ẻ la ragione per la quale mi sono trovato bene come ambasciatore presso la Santa Sede. Domani devo tenere una conferenza sulla diplomazia culturale in un liceo. Mi piacerebbe molto far comprendere ai giovani l’importanza di questa diplomazia culturale.

L’educazione alla tradizione. Ma non si studiano più i simboli , le radici…

Abbiamo perso le radici del simbolismo, insieme alla verità umana che gli sta dietro. Una verità interculturale. Non possiamo salvarci da questo aspetto. Credo in una diplomazia culturale,  in cui i popoli possano comprendersi nel fondo della loro anima, ogni cultura  in rapporto alle altre culture. Questo potrebbe accompagnarci nella creazione di una certa coscienza morale collettiva. All’interno di una comunità si arriverebbe a sentirsi fratelli di una sola anima. Ma senza uniformarci.

Come fiumi che vanno nello stesso mare.

Assolutamente. Ognuno ha la sua propria particolarità. Tutti devono rispettare l’interiorità degli altri.  All’interno di una stessa comunità c’era sempre questa mutua comprensione. Ognuno doveva rispettare il mondo interiore degli altri, il loro aspetto profondo, mistico, misterioso. In una tradizione comunitaria sufi, si fa tutto il possibile  per calarsi all’interno della propria anima. Nella stessa tekke si viveva anche come persone che facevano  parte della società. A differenza  del cristianesimo, nel sufismo non c’è questo aspetto squisitamente monastico.  Dunque membri della società: i sufi praticavano diversi mestieri, erano commercianti, viaggiatori, artigiani, a volte funzionari di Stato, avrebbero anche potuto essere, nel mondo ottomano, dei sultani. Interessante, vero? Ognuno rispettava l’altro e lo viveva come fratello, e ogni comunità rispettava un’altra comunità. All’interno tekke si ricevevano  i bambini venivano inviati qualche mese, o addirittura uno o due anni, per imparare. Le comunità erano rispettose verso ogni professione di fede.

 

L’apertura è un tratto distintivo del sufismo. Se penso che nel Medio Evo, mentre da noi l’Inquisizione a caccia di streghe bruciava le donne,   in Persia c’era un uomo, Rumi, che nei suoi versi scriveva di non essere né musulmano, né cristiano, né ebreo perché aveva trovato Dio, e l’unità, nel suo cuore.

Sì. A proposito, mio nonno portò mia madre alla chiesa di Sant’Antonio, e le disse: “Devi rispettare le altre religioni”. Parlando ai suoi discepoli, un giorno disse “Se non sei allo stesso tempo anche un cristiano e un ebreo, tu non sei un musulmano. Era un’altra epoca, ma lo spirito è proprio questo.

 

Molto interessante, e questo mi porta all’ultima domanda…

Siamo già alla fine? (ride)

Potrei restare anni qui con lei! E questa ultima domanda lascerà sospese molte altre questioni. In questo momento storico viviamo in un periodo molto difficile, e si sta tentando di avanzare l’idea di una lotta di civiltà. Gaza, la Palestina, il Medio Oriente.

Bisogna parlare dell’etica. Una civiltà deve avere un’attitudine etica.

E in questo momento  si creano pregiudizi verso il mondo musulmano che viene fatto apparire come un mondo di terroristi, estremisti, radicali. Non è la verità storica, né attuale. Ma non c’è più dialogo.

C’è un attivista / giornalista indipendente, Di Battista, che è stato chiamato “mullah” per i suoi tentativi di mostrare la distorsione della realtà.

Veramente? Il mullah? Addirittura!

Sì, c’è molta propaganda, si è molto radicali. Quindi è facile erigere muri invece di costruire ponti da attraversare. Cosa può salvare la nostra civiltà, il nostro destino di esseri umani?

Lei come giornalista sente molto questo aspetto difficile, triste. L’umanità ha sempre vissuto momenti difficili, non dobbiamo disperare. L’uomo cade. E si rialza. Ma come salvarci, mi chiede? Io sono un filosofo che crede nella profondità dell’anima. Devo fare attenzione all’essere storico, esistenziale. Ma come filosofo che si occupa di etica devo provare ad avere sempre un grande rispetto per gli altri. Il rispetto deve tuttavia  essere definito dalla tolleranza verso gli altri. Noi siamo un microcosmo dell’universo, ed è nella responsabilità che dobbiamo agire. L’essere ha il suo universo, la sua politica, la sua morale… dobbiamo essere responsabili in modo molto profondo,  in rapporto sia all’uomo che  all’universo. Si deve cominciare dalla considerazione della natura, con l’ecologia (viviamo in una terra che ha problemi, che soffre), e dell’uomo che è responsabile insieme agli altri. Ci sono i vicini, la famiglia, la comunità, lo Stato, la nazione… l’umanità intera. Come direbbe Sartre, ciascuno deve essere  nel suo essere profondo, e per sé stesso.  Ẻ importante fare un’esperienza esistenziale nella dignità. Dunque  la responsabilità, la conservazione e la custodia dell’umanità passano attraverso il rispetto dell’uomo per l’uomo, e per la sua dignità intellettuale, religiosa…Dobbiamo interrogarci, chiederci  cosa possiamo fare per gli altri, nel contesto di questa universalità. Insieme, coesistendo. Questo fa parte della profondità del sufismo. La diversità è un passaggio verso l’unità, e questa unità non è uniformità ma è accettazione, è accogliere, apprezzare l’umanità nella sua particolarità. Il terrorismo è una malattia per tutta l’umanità. Dobbiamo prendere ogni precauzione verso questi aspetti malati.

Bisogna parlare molto con i giovani.

Attraverso il dialogo. E il sentirsi attraverso l’altro.

Siamo anche in una società  molto tecnologica.

Che ci dà la facilità. A volte è come  se fossimo stanchi di essere umani (ride ancora, ndr) e dobbiamo affidare alle macchine per riposarci!

Se la invitassimo in Italia per fare degli incontri, evitando le tecnologie, verrebbe?

Certamente! I cristiani poi esprimono bene questo concetto. Dicono che bisogna amare il prossimo. Ma il prossimo non è soltanto il vicino di casa! Tutte le religioni monoteiste hanno detto la stessa cosa: se non amate, non siete credenti.

 

Nella nostra religione si parla di lettera e di spirito. Bisogna cercare lo spirito nascosto dentro la lettera.

Lo spirito in realtà non è nascosto dentro le lettere, ma nel nostro cuore. Ẻ l’alfabeto del cuore.

 

NB: Kenan Gursoy ha pubblicato  il libro Crescere aspirando all’unità

Questo è il link del suo volume:

https://www.armandoeditore.it/catalogo/crescere-aspirando-allunita/