Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Tár, il labirinto della coscienza

di Alessandra Tesei

I film non servono solo a evadere. Servono anche a riflettere. Todd Field ha diretto Cate Blanchett in un’opera inquieta, che sempre suggerisce ma mai definisce. La protagonista è una donna che si muove negli abissi dell’ombra in cui la coscienza di sé e del mondo diventa ininfluente, l’unica cosa che importa è il Potere.

 “La sua vita”, ammonisce Baudelaire, “i suoi modi, la sua persona fisica, tutto ciò che costituisce l’insieme del suo personaggio, ci appare come qualche cosa di tenebroso e di brillante insieme.”

Una contraddizione in termini, una tenebra che brilla.

  1. Trevi, Viaggi iniziatici

 It’s always the question that involves the listener, it’s never the answer.

Lydia Tár

Quanti percorsi segue Tár? Quali luoghi (psichici e fisici) abita? Dove va a finire?

Tár inizia come un film biografico, tanto da portare lo spettatore a chiedersi (e chiedere a Google) se la direttrice d’orchestra sia una figura reale. Il regista, Todd Field, compie una ricerca sul personaggio estremamente meticolosa: Lydia Tár va a esistere veramente. Gli elementi della vita dell’artista che noi a poco a poco veniamo a scoprire, il regista li conosce già alla perfezione. Il film è il personaggio e viceversa.

Subito dopo i titoli di testa (rappresentati come titoli di coda), vediamo una conversazione in diretta live su smartphone tra due interlocutori dei quali, per tutto il film, non ci verrà mai svelata l’identità (anche se potremmo tentare qualche ipotesi). Il video riprende Lydia mentre dorme a bordo di un aereo e, durante la conversazione, vengono scritte quelle che potrebbero essere considerate due delle parole chiave del film: haunted e conscience.

Gopnik e Tár

 La lunga scena successiva mostra un’intervista di Adam Gopnik (nel ruolo di sé stesso) a Lydia, davanti a numerosi ammiratori.

Viene ripercorsa la carriera della donna e si informa il pubblico che l’artista dirigerà la Filarmonica di Berlino nell’esecuzione della Quinta Sinfonia di Mahler, che verrà registrata dalla Deutsche Grammophon e che rappresenterà il coronamento di una straordinaria carriera. Durante l’intervista Lydia parla delle sue influenze (soprattutto del suo mentore Leonard Bernstein), delle donne nel mondo della direzione d’orchestra e del suo pensiero sulla musica. È qui che viene menzionato il concetto di tempo: “Time is the essential piece of interpretation” dice Lydia che, con la sua mano destra, lo controlla durante le esecuzioni; il direttore d’orchestra è un “metronomo umano” (la scossa e la caduta del personaggio avverranno proprio quando lei non riuscirà più a controllare il tempo, in senso letterale e metaforico).

Lydia menziona inoltre la sua esperienza di registrazione sul campo avvenuta molti anni prima, quando, insieme alla sua assistente Francesca Lentini e alla sua ex pupilla Krista Taylor, aveva soggiornato sulle rive del fiume Ucayali in Perù per studiare i canti degli Shipibo Conibo. Si parla dell’icaro, il canto Shipibo che viene ricevuto dallo sciamano solo nel momento in cui quest’ultimo si trovi “sullo stesso lato dello spirito”; ogni icaro è legato a un disegno, un motivo geometrico che spesso ricorda un labirinto.

Nel corso della scena viene anche inquadrata la nuca di una donna con lunghi capelli rossi, più tardi capiremo che è proprio Krista Taylor.

La lezione alla Juilliard

 Altra scena fondamentale, perché sembra introdurre il punto focale del film, è quella in cui Lydia tiene una lezione alla Juilliard di New York. Si svolge nel corso di un piano sequenza (quindi senza tagli nel montaggio) di dieci minuti e mostra la protagonista e un allievo dell’accademia in un dialogo estremamente attuale, che riguarda la cancel culture e pone allo spettatore la questione se si debba o meno separare l’arte dall’artista nel momento in cui quest’ultimo si comporti in modo inaccettabile per i tempi in cui noi viviamo. Per Max, l’allievo, non è possibile farlo, tanto da “cancellare” Bach, mentre per Lydia è un dovere, perché certe opere d’arte (in tutti i campi) sono inevitabili.

È un dialogo profondo e completo quello che avviene tra i due – anche nel momento in cui Lydia reagisce come non dovrebbe, ovvero deridendo e insultando Max – e il piano sequenza ha un ulteriore significato, oltre a quello stilistico, ovvero va a contrastare con il montaggio del video che uno degli allievi realizza riprendendo Lydia: un video fatto di frammenti, tagliato, perfetto per la velocità dei social e che cerca di mostrare e accentuare l’abuso compiuto dalla direttrice.

E qui ci viene posta una delle domande fondamentali del film: l’abuso c’è stato o no? Noi, che eravamo presenti durante conversazione tra i due, cosa pensiamo?

Successivamente in aereo, Lydia apre un pacchetto indirizzato a lei, contenente un libro, Challenge di Vita Sackville-West; sul frontespizio è stato disegnato un motivo che ricorda un labirinto. Lydia strappa la pagina e butta l’intero libro nell’immondizia.

Per la terza volta nel film, veniamo introdotti a un elemento che riguarda gli Shipibo Conibo, il motivo del labirinto; la prima avviene nel corso dei titoli di testa, durante i quali ascoltiamo un icaro eseguito dalla sciamana Elisa Vargas Fernandez, mentre la seconda, come si è visto, durante l’intervista di Gopnik a Lydia.

I luoghi

 Tornati a Berlino, entriamo nella casa di Lydia, di sua moglie Sharon e della loro figlia Petra.

I luoghi, gli spazi chiusi in cui Tár si muove sembrano avere un significato nascosto a uno sguardo superficiale: le architetture eleganti e minimali della casa brutalista della coppia, le linee scandinave e oblique del teatro in cui prova e si esibisce l’orchestra, l’horror vacui dell’appartamento privato di Lydia, l’edificio abbandonato dove Olga dice di vivere e in cui avviene un passaggio che riguarda la vita di Lydia e il film stesso. Aggiungiamo gli uffici di Lydia e le camere d’albergo e vedremo che in quasi tutti questi luoghi ci sono stanze comunicanti, giochi di specchi e riflessi. È in questi luoghi, e principalmente nella casa della coppia, nell’appartamento di Lydia e nell’edificio abbandonato che il film assume aspetti all’apparenza soprannaturali.

Ma noi siamo certi di vedere i fantasmi che avverte Lydia o sono solo suoi? Ci troviamo nella realtà o all’interno della sua psiche?

Sia nella casa sia nell’appartamento, Lydia sente rumori che la svegliano di notte, guarda improvvisamente alle sue spalle perché avverte qualcosa, accende candele bisbigliando una sorta di incantesimo; siamo però solo noi spettatori a vedere, per due volte, una figura, un fantasma – la stessa donna dai capelli rossi inquadrata di spalle durante l’intervista iniziale – immobile, appostata, che osserva Lydia.

 Le donne di Lydia

 Krista Taylor è la promettente direttrice d’orchestra che in passato è stata la favorita di Lydia, che ora l’ha ostracizzata, presumibilmente portandola al suicidio. È insieme a lei e alla fedele assistente Francesca che Lydia aveva compiuto il viaggio sull’Ucayali, presso gli Shipibo Conibo. È laggiù con le due ragazze che ha luogo un rituale, ed è dopo questo rituale che il rapporto tra Krista e Lydia si annienta. Ma noi non veniamo mai a conoscenza del reale motivo, e non vediamo mai nemmeno il volto di Krista, solo la sua figura e i suoi capelli rossi.

È Krista lo spirito che perseguita Lydia o è Lydia che perseguita sé stessa?

Scopriamo a poco a poco che Lydia è stata, ed è ancora, una predatrice: lo è stata con Krista, con Francesca – che, nel momento in cui smette di adorarla, la tradisce esponendo la verità del rapporto con Krista – e prova a esserlo con Olga, che però non cade tra le sue braccia e, in questo modo, fa cadere Lydia nella sua personale spirale discendente. È infatti proprio nella casa di Olga, l’edificio abbandonato che non può essere la casa di nessuno – in una scena che ci riporta ai passaggi da una realtà a un’altra di Mulholland Drive, Eyes Wide Shut e Stalker – che Lydia letteralmente cade, ferendosi al volto, scappando da un enorme cane di cui si fa fatica a credere alla reale esistenza. Cade dopo aver seguito la voce di una donna che canta, della quale sentiamo l’eco nelle stanze vuote. Inizia da qui il vero e proprio crollo di Tár, della sua carriera e della sua vita.

Sharon – la moglie che vede ogni vibrazione di Lydia, che sa dei suoi tradimenti e che fino a questo momento è rimasta al suo posto, poiché la loro è una cosiddetta power couple nel vero senso dell’espressione: sono loro al vertice della gerarchia dell’orchestra – ora la lascia, biasimandola per aver messo in pericolo, e aver distrutto, la loro famiglia e la loro carriera insieme. La allontana anche dalla loro figlia Petra, con la quale Lydia ha l’unico rapporto sincero: è Petra la sola che avverte, e probabilmente vede, i fantasmi della madre.

La musica

 La colonna sonora di Tár è fatta soprattutto dalle prove dell’orchestra. Field ha spesso detto che il suo “è un film sul processo”, quindi su come si giunge al risultato finale, sulle idee che si sviluppano durante le prove, dietro le quinte. Inoltre, sono gli attori stessi a suonare ogni strumento: Nina Hoss (Sharon) suona il violino, Sophie Kauer (Olga) è una violoncellista di professione ed è proprio Cate Blanchett a suonare Bach al piano e a dirigere l’orchestra.

La Quinta di Mahler, ripetuta e frammentata, percorre tutto il film. È ciò che Lydia cerca di raggiungere da tutta la vita ed è il suo icaro fino a quando non ne è più degna, nel momento in cui non si trova più “sullo stesso lato dello spirito”: la partitura dell’opera scompare da casa sua, per rendere chiaro il fatto che lei non è più l’eletta.

È una colonna sonora fatta anche di frequenze, che avverte forse solo Lydia, rumori che la disturbano (con molta probabilità soffre di misofonia) e suoni: le due note che la protagonista sente nel suo appartamento (che scopriremo provenire dalla casa della sua vicina malata) si ripetono successivamente – in una scena in cui Lydia corre in un parco – riflettendosi nelle urla di una donna non identificata e nella sirena di un’ambulanza. Lydia usa quelle due note come inizio di una sua composizione, For Petra, unico brano completo composto da Hildur Guðnadóttir per la colonna sonora originale del film.

L’altro fondamentale elemento musicale è l’icaro cantato dalla sciamana Elisa Vargas Fernandez, che ascoltiamo durante i titoli di testa, elemento che permette di capire quanto il tema degli Shipibo Conibo sia essenziale.

Il viaggio iniziatico

Noi spettatori riusciamo a percepire che durante il periodo trascorso da Lydia, Krista e Francesca in Perù sia accaduto qualcosa: Lydia, probabilmente insieme a Krista, ha partecipato al rituale Shipibo dell’ayahuasca e il film, con i suoi indizi, ci convince che da quel momento i rapporti tra le due sono cambiati radicalmente. Krista, prima del (e dopo il) suo suicidio, perseguita Lydia attraverso i motivi geometrici del labirinto (che, oltre al libro di Sackville-West e al metronomo che sveglia la protagonista di notte, compaiono anche nei giochi di Petra e nei fogli di Francesca). Lydia è perseguitata dalla sua coscienza (o almeno questa è la cosa più semplice da credere per noi), inizia a pensare che forse ha delle colpe, ma non ne è totalmente consapevole: Lydia non si conosce.

Ma qual è il vero motivo per cui Lydia allontana Krista? Lydia è davvero una persona terribile o è Krista a mostrare davvero segni di instabilità?

Un fatto è però ovvio: Tár non mostra un percorso iniziatico – che ha già avuto modo di avvenire nel passato – ma il suo fallimento e Lydia è l’eroe che compie il viaggio, ma allo stesso tempo è l’antagonista, degli altri e di sé stessa.

La battuta finale

Lydia si rende conto di non poter più sopravvivere in Germania, è stata cancellata. Torna quindi negli Stati Uniti, a Staten Island, dov’è nata e cresciuta. Il suo vero nome è Linda Tarr e possiamo capire che non è la benvenuta nemmeno nella sua casa natia. Dopo una scena in cui la vediamo piangere davanti a un video del suo mentore Leonard Bernstein, il paesaggio cambia di nuovo ed è quello di un paese del sud-est asiatico, dove Lydia ha trovato un nuovo lavoro e in cui si muove da classica turista occidentale.

L’ultima scena ci mostra la protagonista che dirige un’orchestra, in un’esibizione che solo alla fine capiamo essere a favore di un pubblico interamente composto da cosplayer, fan del videogioco Monster Hunter.

Sarebbe l’ideale non aggiungere altri commenti, perché una battuta non si deve mai spiegare, ma fa sicuramente piacere parlare dell’ironia di Todd Field e del suo Tár.

Il regista ha composto un’opera in cui ha seminato piccoli e grandi indizi (troppi per elencarli tutti) per farci credere che ci fosse un enigma da decifrare. Un’opera che segue strade diverse senza arrivare in fondo a nessuna: è una biografia, è un film sull’abuso e sulla cancel culture, è un horror psicologico. È tutto questo e allo stesso tempo non lo è. Field ci ha burlato – con una deliziosa ironia kubrickiana – ed è diventato di nuovo il pianista jazz di Eyes Wide Shut, che ci dà la parola d’ordine per farci credere di entrare in un affascinante enigma da risolvere che invece si rivela non esserci.

Nell’ultima parte del film c’è inoltre un richiamo alquanto palese ad Apocalypse Now. Lydia fa un giro turistico percorrendo un fiume in barca, insieme ad alcuni componenti dell’orchestra: uno dei ragazzi menziona i coccodrilli scappati proprio durante le riprese del film di Coppola e Lydia si sorprende che ancora sopravvivano. Ma Lydia non è né Kurtz né Willard, è il coccodrillo che sopravvive.