Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Io abito la possibilità

di Francesca Pacini

Emily Dickinson è una delle poetesse più famose della letteratura. Ha vissuto tutta la sua vita in una stanza in cui ha dato forma a una poetica intensa, in cui pare abbia vissuto più di cento, mille uomini che hanno esplorato il mondo…

 

I dwell in Possibility –

A fairer House than Prose –

More numerous of Windows–

Superior – for Doors

 

Io abito la Possibilità.

Una casa più bella della prosa,

con molte più finestre, 

superiore, quanto a porte.

Emily Dickinson

 

C’è chi come Bruce Chatwin ha sempre avuto bisogno di muoversi, di spostarsi, e chi invece ha vissuto la sua vita scegliendo una stanza. E in quella stanza ha vissuto, sentito, amato, scritto. Emily Dickinson ha trascorso la sua vita nella sua casa ad Ahmerst, nel ventre del Massachusetts, e da quel luogo ci ha regalato alcuni fra i versi più belli della letteratura.

All’inizio fu il padre a ritirarla dalla scuola per la sua salute fragile, ma quella protezione divenne in seguito condizione essenziale della sua esistenza, non più obbligata, ma scelta. Forse anche a causa di alcuni disturbi del suo temperamento, alcuni studiosi  parlano di agorafobia e ansia sociale. In realtà Emily scelse volontariamente l’isolamento nella sua stanza, dalla quale non uscì neanche in occasione della morte dei genitori. Si narra di alcune rare passeggiate in giardino, fra i ranuncoli e le viole. Amava vestirsi di bianco, simbolo di quella purezza di cui sentiva il richiamo. Siamo nella metà dell’Ottocento, il puritanesimo che impronta gli anni della sua gioventù non scalfisce il suo sentimento personalissimo verso la religione, alla quale preferisce sostituire una sorta di spiritualità “panteista” con cui tesse la sua visione del mondo.

Fuori dalla finestra, le stagioni che hanno cambiato la forma e il colore del cielo, del giardino, della terra e degli alberi hanno ispirato il suo sentire colmo di una delicata, struggente malinconia a cui si è sempre mescolato l’impeto appassionato per la vita e l’amore. Basta pensare a Notti Selvagge: “Notti Selvagge – Notti Selvagge! / Fossi io con te / Notti Selvagge sarebbero /La nostra ingorda voluttà! / Inutili – i Venti – / A un Cuore in porto – /Via il Compasso – /Via la Mappa! /Vogare nell’Eden /Ah, il Mare! /Potessi soltanto ormeggiare – Stanotte – /In Te!”.

Amori che non visse mai se non nelle pagine che riempiva, eppure così reali, intensi, vibranti perché Emily era in contatto intimo con la sua anima e allo stesso tempo con il suo essere donna fatta anche di sangue, di ossa e di carne.

Ci furono sentimenti amorosi verso personaggi reali, come quello per il reverendo Wadsworth, conosciuto durante una delle sue rare incursioni fuori casa, insieme ai genitori e alla sorella, e ci fu lo slancio verso Susan Gilbert, sua cognata, in cui alcuni ravvedono una tensione omoerotica ma che più probabilmente è una platonica affinità elettiva.

Ma aveva fatto una scelta, Emily. Aveva deciso di cantare la vita dalla sua stanza, legata a una fertile solitudine che si fa gesto d’amore, intima consuetudine all’esplorazione di sé e di tutte le infinite possibilità che l’immaginazione offre alla vita.

“Io abito la Possibilità”. Sì, lei ha abitato e vissuto tutte le esperienze che ha immaginato, e ogni esplorazione è diventata parola.

Curioso notare che oggi le neuroscienze hanno scoperto che per il cervello non esiste differenza tra ciò che immaginiamo e ciò di cui facciamo esperienza nella realtà. Dunque se percepita in un certo modo (che coinvolge tutti i sensi a cui il corpo e l’inconscio sono agganciati) l’esperienza immaginata non presenta differenza da quella vissuta.

Ecco che forse, allora, è anche grazie a questo che i suoi versi che disegnano amori mai neanche sfiorati se non nella tensione dell’assenza, che in qualche modo si fa presenza,  hanno la stessa dolorosa intensità del vissuto di chi in quelle relazioni è entrato davvero.

Ma la poetica di Emily è centrata soprattutto sull’amore verso la vita a cui fa da contrappasso la morte, e alla delicatezza del suo sentire con cui attraversa, invisibile, il mondo, consumando un’ attesa voluta. “Non sapendo quando l’alba possa venire/lascio aperta ogni porta/ che abbia ali come un uccello / oppure onde, come spiaggia”.  Tutta la vita una stanza, scrivendo poesie che le regaleranno il successo solo dopo la morte, confermandola come una delle poetesse più significative di ogni tempo. Sorprende, ancora oggi, la incredibile attualità dei suoi versi senza tempo, proprio perché inseriti in quel Tempo circolare, maiuscolo come alcune delle lettere che componevano le sue parole, la  sua scrittura. Nel New England Emily nacque e morì, senza cambiare dimora.

Sì,  ha vissuto in quella stanza, ma ha vissuto molto di più di tanti  uomini e donne. Perché ciò che conta non è il cosa, ma il come. Ẻ la qualità del sentire, del vivere. “Se io potrò impedire a un Cuore di spezzarsi / Non avrò vissuto invano/ Se potrò alleviare di una Vita il Soffrire / O smorzare una Pena /O aiutare un languente Pettirosso / Di nuovo verso il suo Nido / Non avrò vissuto invano”.

La sua sensibilità ha fatto che sì che la vita penetrasse in lei aprendo ogni poro e facendola penetrare ovunque, alla ricerca infinita di ogni “sorso di esistenza”. Aveva sempre sete, Emily, perché anche se avesse vissuta una, cento, mille vite all’esterno la sua anima sarebbe stata sempre più forte, l’avrebbe richiamata in quelle stanze interne di cui quella fisica, materiale, era solo metafora e simbolo. Non è necessario essere una stanza o una casa per essere stregata”.

“C’è un altro cielo”, scrive in uno sei suoi versi.

Ẻ quello il cielo in cui abita la possibilità. Chi la vede come una poetessa fragile, sottomessa, si sbaglia:”Molta follia è saggezza divina – / per chi è in grado di capire – / Molta saggezza – pura follia – / Ma è la maggioranza in questo, in tutto, che prevale – /  Conformati: sarai sano di mente / Obietta: sarai pazzo da legare –/ immediatamente pericoloso e presto incatenato”.

Probabilmente Emily è molto più “avanti” dei tempi in cui vive, la sua reclusione non è tanto un  atto castrante quanto liberatorio. “Il cervello ha corridoi che vanno oltre gli spazi materiali”. Ed è il quegli spazi che lei vive e si muove. Libera dai vincoli sociali, dal peso e dagli obblighi della materia, nella sua stanza vola via e indossando ali di pettirosso: “Il pettirosso prova le sue ali./ Non conosce la via, / ma si mette in viaggio verso una primavera / di cui ha udito parlare”. Anche lei non conosce la via, ma il viaggio dentro sé stessa la porta a una verticalità che quasi stordisce. “Non conosciamo mai la nostra altezza / finché non siamo chiamati ad alzarci. / E se siamo fedeli al nostro compito / arriva al cielo la nostra statura”.

E si ha proprio la sensazione di un’esistenza al servizio dell’anima.

Quella stanza diventa il centro del mondo, del suo mondo, di tutti i mondi possibili.

Non ci sono porte da aprire perché la sua mente possiede ogni chiave. E non ci sono strade da attraversare perché il suo volo osserva tutto dall’alto e finisce per coincidere con il centro, il centro del suo stesso cuore.

Non c’è stanza più importante di quella che abitiamo all’interno di noi.

Alla fine, ogni percorso della vita ci riporta lì, esattamente dentro noi stessi. Lì verifichiamo quanto abbiamo appreso, e come e se abbiamo vissuto. Già, perché possiamo fare molte esperienze e allo stesso tempo essere assenti all’interno di ognuna, esattamente come quando lo scatto di un selfie si sostituisce al panorama che stiamo ammirando.

Ẻ solo la presenza che conta davvero. Solo lei. Ed Emily è stata presente a sé stessa, in ogni istante, fino alla sua morte. “Morii per la bellezza, ma ero appena / composta nella tomba / che un altro, morto per la verità, / fu disteso nello spazio accanto. / Mi chiese sottovoce perché ero morta / gli risposi “Per la Bellezza”. / “E io per la Verità, le due cose sono

una sola. Siamo fratelli” disse./  Così come parenti che si ritrovano / di notte parlammo da una stanza all’altra / finché il muschio raggiunse le labbra / e coprì i nostri nomi”.

Morire per la bellezza. Se la bellezza salverà il mondo, come scriveva Dostoevkij, allora forse quella stessa bellezza salva il mondo, e ogni uomo,  dalla sua morte.

Una cosa è sicura: le parole di Emily hanno attraversato i secoli e si sono consegnate all’eternità.