Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Intelligenza artificiale e stupidità  naturale

di Francesca Pacini

di Francesca Pacini

I pericoli di Ai non stanno solo nei suoi meccanismi e nel suo impiego. Si trovano soprattutto nella nostra incapacità di resistere alla tentazione di far fare tutto a una macchina, perdendo pezzi e funzioni del nostro cervello. Allarmismo inutile? Piccolo spazio di riflessione.

Quando parliamo di intelligenza artificiale ci dimentichiamo della stupidità naturale. Quella di noi esseri umani.

No, non si tratta di avere paura del futuro. Si tratta di usare ancora il cervello – il nostro – per ragionare sulle implicazioni di AI sulla nostra esistenza.

Abbiamo davvero bisogno di un mondo fatto di macchine? Abbiamo bisogno di una, cento, mille Alexa che aderiscano ai nostri comandi? O di girare come degli ebeti attraversando la strada mentre digitiamo per aria su una tastiera invisibile, prodotta dalla visiera di Meta che ci fa somigliare a minatori digitali che invece del carbone trovano le app della loro realtà aumentata?

Invece di aumentare la realtà non possiamo diminuire la nostra incapacità di viverla al meglio, e soprattutto secondo coscienza?

A furia di delegare tutto alle macchine non saremo più capaci di farci neppure un caffè.

E, ogni volta che deleghiamo qualcosa a uno smartphone, o a un computer, perdiamo pezzi di neuroni. Sul serio. È scientificamente dimostrato che le sinapsi, i collegamenti delle reuti neurali,  formano il nostro cervello, e lo aiutano  a crescere, connettersi e funzionare. Ma hanno bisogno di attività. Lo sa bene chi  fa sempre la settimana enigmistica. Non è solo un gioco, è un esercizio per mantenere sano il cervello.

Un cervello che, altrimenti, rischia di atrofizzarsi. I social ci hanno già rincoglionito abbastanza. Tuttavia il colpo di grazia arriverà con l’uso esteso di Ai, promossa a grandi voti da una società diventata ormai troppo superficiale per accorgersi dei danni a venire, quelli che peseranno soprattutto nelle generazioni future. Generazioni che sapranno poco, o nulla, del sapore di un orto al mattino, di una fattoria, del profumo della carta stampata, della fatica di trovare da soli la strada (Google maps taglia via la nostra capacità di orientamento, non solo geografico ma anche metaforico).

Il mondo digitale si sta sostituendo alla nostra memoria. E senza memoria, non c’è identità. Senza consapevolezza delle radici diventiamo fragili, e malleabili.

Non conosciamo più un numero di telefono, una strada. Non conosciamo più la fatica del cercare, e del memorizzare. La nostra pigrizia è troppo prepotente per farci avvertire il pericolo dell’intelligenza artificiale.

E il risultato per noi sarà fatale.

Non sapremo più distinguere il reale dal digitale, diventando sempre più stupidi, ottusi. Mentre l’intelligenza artificiale succhierà avidamente le nostre conoscenze e i nostri comportamenti, imitandoli.

Non vi fa paura? A me sì. A me fa rabbrividire. Perché voglio restare umana, tremendamente umana.

E perché penso sempre più spesso al finale di Kubrick, con Hal 9000 con il suo

“Mi spiace, David. Non posso farlo”.

Non rappresenta solo la ribellione dei robot agli umani. Ne segna la fine della supremazia su questo pianeta.

E forse è così, non ci meritiamo più questa terra meravigliosa. Del resto  stiamo facendo di tutto per distruggerla. E noi insieme a lei.

Allora, in un futuro non più così fantascientifico, sarà il trionfo delle macchine e di un mondo sintetico di cui sarò lieta di non far parte.