Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Anatomia di Danilo Kiš

di Alessandra Tesei

Note sparse –  ma ragionate – per comprendere l’opera dello scrittore jugoslavo ed entrare nel nucleo della sua letteratura.

 Serie d’osservazioni. Angolo caldo.

Lo sguardo lascia una scia sulle cose.

L’acqua si ripropone come vetro.

L’uomo è mostruoso più del proprio scheletro.

Una sera d’inverno col vino in nessun posto

Una veranda assalita dai salici.

 

  1. Brodskij

 Le parole che Kiš prende in prestito da Anatole France per descrivere Rabelais e Cervantes possono essere utilizzate per descrivere lui stesso: …la grande mente è come una torcia miracolosa che costantemente ti lascia vedere lo scheletro dove altri vedono la bellezza del corpo, e riconoscere le curve dei muscoli nudi, dove gli occhi vedono un sorriso.

 

Le cose dimenticate. Kiš riporta in vita le cose abbandonate, non le lascia morire. Descrive tutti gli attimi, racconta i dettagli.

 Le persone scomparse. Vuole farci ricordare di tutte le persone di cui racconta. Per Kiš, il primo scomparso è stato il padre Eduard, deportato ad Auschwitz nel 1944 quando il figlio aveva nove anni. L’uomo pervade la trilogia famigliare (Giardino, cenere; Dolori precoci; Clessidra) e ritorna nell’Enciclopedia dei morti, in una figlia che rilegge tutta la vita del padre defunto.

 Eduard Kiš, ispettore delle ferrovie. Il compito del padre di Kiš era trascrivere le fermate e gli orari dei treni. Un lavoro di precisione, attenzione, dettagli, fatto di tempo e pazienza. Kiš scrive in questo modo, con un intaglio cristallino della sintassi e la sensazione che la prosa e il tempo coincidano. La luce nelle pagine iniziali di Clessidra.

La lingua. Kiš parlava ungherese, la lingua del padre e serbo-croato, la lingua della madre, nella quale scriveva i suoi libri. In seguito imparò il francese e il russo e tradusse molti autori.

 

Le storie nelle storie. Non ci parla mai di una singola cosa soltanto. Sia palesemente sia indirettamente, raccontandoci una storia ce ne racconta anche un’altra. Libri fittizi dentro a libri reali, persone reali sotto a persone fittizie. Ci parla di tante vite per parlarci della sua.

L’indiretto. Kiš nasconde le cose in bella vista. Se stiamo attenti, ci accorgiamo che è tutto davanti a noi. È tutto finzione, è tutto vero.

L’essenza. È capace di cogliere l’essenza di una storia, una persona, un oggetto, un avvenimento, ed è capace di descrivere il nucleo di quell’essenza.

La percezione. Cambia i punti di vista, distorce lievemente la realtà. Noi leggiamo e percepiamo qualcos’altro al di sotto della sua prosa. Le lunghe descrizioni, i lenti cambiamenti insieme ai bagliori di frasi, le epifanie joyciane, le metamorfosi.

La citazione. Kiš cita continuamente, ma la sua è la citazione come la intese Borges prima e Bolaño poi. Biblioteche, documenti, libri, archivi fittizi (forse) ma reali. Il lettore rimane nel dubbio, e allo stesso tempo crede a ciò che legge. Le sue fonti non sono quelle ufficiali, sono secondarie o sconosciute. “Questo racconto, un racconto che nasce nel dubbio e nell’incertezza, ha un’unica ‘sfortuna’ (alcuni la chiamano fortuna), di essere vero”.

La Storia. La Storia è il contesto e lo sfondo dei suoi libri, ed è quella della Mitteleuropa degli anni ’20 e ’30 del XX secolo. Ma Kiš racconta le vene di quella Storia e parla del sangue che scorre in quelle vene. È qui che troviamo la miriade di persone, dettagli, attimi, gesti tratti dall’oblio.

La letteratura e l’ideologia. La letteratura pone domande, crea e protegge l’enigma, l’ideologia dà le sue soluzioni e fa in modo che le domande non si pongano più.

L’astratto. La prosa di Kiš cammina da sola, e nel suo scorrere crea composizioni a volte fatte solo di luce e colore. Inizia dalle foglie di un albero e ogni attimo ricordato va a formare i rami di quell’albero.

 Il tempo della tragedia. Scrive Brodskij: «La tragedia, intesa come altro dalla vita ordinaria, è solitamente percepita nei termini di una violazione del tempo. Nel caso di Una tomba per Boris Davidovič, la cui prosa superba sembra prossima a offuscare la storia stessa, la tragedia viene quasi ridefinita come momento di massima eloquenza del tempo.»

L’enigma. In Kiš sembra che ogni cosa debba essere decifrata, ma non c’è l’urgenza di decifrarla perché desideriamo restare nel piacere del dubbio e del mistero.

 Kiš non inizia e non finisce. «Prendete un nastro di carta e unitene le estremità, attorcigliandole a forma di otto: avrete ottenuto un nastro di Möbius (…). Non è più un cilindro, non c’è più una superficie interna distinta da quella esterna: l’una si insinua nell’altra, impercettibilmente.»

  1. Brodskij, Poesie, Adelphi, Milano, 1986, G. Buttafava (a cura di), pag. 47
  2. Kiš, L’ultimo bastione del buon senso, Wojtek Edizioni, Napoli, 2022, tr. it. A.Vuco, pag. 27
  3. Kiš, Una tomba per Boris Davidovič, Adelphi, Milano, 2005, tr. it. L. Avirović, pag. 11
  4.  Ivi, tr. it. F. Saltarelli, pag. 163
  5.  Kiš, L’ultimo bastione del buon senso, pag. 21