Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Parola di AI

 di Francesca Girardi

 

L’Intelligenza Artificiale avanza anche nell’editoria. Ma è davvero possibile affidare tutto a una macchina?  Il libro è qualcosa di molto più profondo, e coinvolgente…

 

Cesare Pavese diceva che scrivere è un’azione che si rivolge a due destinatari: lo scrittore, che scrive per sé stesso, per esprimere un proprio sentire, e il lettore, verso il quale c’è il desiderio di condividere e far arrivare un qualcosa.

Permettetemi una nota di rosa: questo è il lato romantico della questione. È la parte che mi fa viaggiare con immagini di persone, chiuse nel loro spazio, che stringono amicizia con la pagina bianca. Un’amicizia che nasce più o meno lentamente, riga dopo riga oppure parola dopo parola. Sì, a mio avviso è un’amicizia, perché la parola amico è carica di valori, è la grotta in cui si trova riparo, è la spiaggia dove sedersi e osservare il mare della vita, cercando di cavalcare le onde che smuovono emozioni.

Virginia Woolf sosteneva l’importanza di avere uno spazio tutto per sé, dentro cui poter sostare e scrivere. Certo, è ormai un dato di fatto ciò che ho appena scritto, e certo, porta un non so che di ridondante, eppure voglio ribadirlo. Dietro a ogni parola, che sia paragrafo di narrativa o verso di poesia, si nasconde una creatura umana, capace di ascoltare sé stessa e il mondo, o forse desiderosa di coltivare questa abilità.

 

Ecco, dietro a ogni testo, che oggi abbiamo imparato ad accettare anche in formato digitale, come lo è in fin dei conti questa rivista, c’è un cuore e una mano vera, viva, che sceglie di dare forma a un proprio pensiero, una propria storia, una propria opinione. Una scelta che porta le dita a picchiettare più o meno allegramente sulla tastiera, o forse a scrivere ancora a mano la brutta copia, prima di ricopiarla e inviarla via e-mail. Questo è il fascino del testo scritto; il lettore è raggiunto dal risultato finale, da parole che possono rappresentare nuovi input per immaginarsi da dove sia nato quel testo, cosa lo abbia creato, o forse no. Ebbene, anche nel forse no, c’è la libertà di immaginarsi l’autore o autrice nella modalità di scrittura. Avranno scritto la sera? O si saranno appuntati i pensieri su bloc-notes, post-it o sull’impostazione Note del loro cellulare per poi nascondersi dalla realtà, in una grotta ideale e scrivere rivolgendosi al mondo, senza la pretesa di essere simpatici a tutti, soltanto mossi dal desiderio e dalla libertà di condividere.

 

Ecco, la nota rosa di cui parlavo poc’anzi, è questo, e anche di più. Non leggiamo un testo nello stesso modo in cui si va al supermercato a fare la spesa, senza pensare a cosa realmente vogliamo, a ciò che realmente ci serve. Per non parlare poi delle casse automatiche…

E ci avviciniamo alla questione.

Daniel Pennac scrive che leggere è sognare, scrive che “[…] Un lettore, una lettrice, mentre leggono, mentre sono immersi in un bel romanzo, diventano ciò che non sono più: non più un insegnante, non più un’editrice, non più un contadino, non più un’infermiera, non più un operaio, non più un’avvocata, non più un meccanico, non più una disoccupata, non più un gangster, non più un poliziotto […]”  e la lista prosegue per poi dire che “[…] Un lettore è ciò che resta di noi quando leggiamo, e che resiste a qualunque definizione. È la libertà pura e semplice […]”.

In queste parole trovo sia racchiusa tutta la responsabilità di cui loro stesse sono custodi, intendo soprattutto le parole scritte (senza escludere, comunque, le parole pronunciate). Allo stesso modo voglio anche specificare che la responsabilità non è da intendere come un fardello o compito pesante, tutt’altro. È più simile alla consapevolezza dello svolgere un’azione che smuove un non so che in coloro che la incontrano. Ecco, direi che la questione è la consapevolezza.

La questione è, poi, che scrivere non è automatismo, copia e incolla.

Le singole parole sono i battiti del cuore, le brevi o sedimentate emozioni che assomigliano ai legni che galleggiano nell’acqua, un po’ in avanti e un po’ indietro, senza allontanarsi dalla loro posizione finché arriva l’onda più forte a scuoterli ulteriormente e indirizzarli verso altri orizzonti.

La questione è che non si tratta di attingere da un recipiente e assemblare.

A pensarci bene, potrebbe essere così, è la modalità a fare la differenza.

L’IA attinge, l’IA nasce da un qualcosa che già c’è stato, parte da quanto già è noto e crea. Cosa crea?

Raccontano che sia un aiuto. Raccontano di come sia una minaccia per tanti lavori, compresi quelli dei curatori, degli articolisti, degli scrittori. Raccontano che permetta maggiori opportunità di tempo e di quantità, raccontano che apra possibilità. Raccontano che… Raccontano, raccontano.

In parte tutte queste narrazioni hanno un qualcosa di veritiero, però la questione è che c’è dell’altro. Prediamo ad esempio questo articolo che state leggendo. Incontrerà pareri sfavorevoli, qualcuno non arriverà in fondo, qualcun’altro magari sì. Ci sarà chi ha compreso il senso, chi invece avrà aperto il file e richiuso. Ebbene, sappiate che ogni frase, ogni parola è stata scritta prendendo forma dal pensiero critico, dal piacere di dare voce al mio sentire, con la consapevolezza che potrebbe, e non potrebbe, smuovere altro.  Bene, l’IA nella stesura di un romanzo o un articolo, si farà tutte queste domande e pensieri?

La questione è cercare di non negare, ma nemmeno di escludere.

C’è un saggio dal titolo La lettura, il corpo, la voce di Paolo S. Sessa, dove vengono messi in luce gli aspetti che legano la voce alle emozioni, anche nella lettura. Aspetti che forse non si immaginano, o che riusciamo a comprendere se correlati al provare timidezza nel parlare in pubblico, o al provare paura nella lettura a voce alta in classe.

 

Il coinvolgimento è molto più ampio, la nostra voce e le nostre emozioni permettono allo stesso testo di avere più vite. Nel saggio si legge: “[…] Perché una voce calda, profonda, rilassa dà sicurezza, coinvolge, avvicina, reclama […] mentre una voce “piatta” tende a produrre indifferenza, e una nasale, fastidio […]?”.

La lettura, che sappiamo essere conseguenza, e allo stesso tempo motivazione, della scrittura, segue un processo comune alla stessa. Non si scrive senza emozioni, senza sensazioni, senza fantasia, senza immaginazione.

Quanto scritto nei secoli è un immenso patrimonio, utile certo a creare opportunità digitali importanti che permettano maggior fruibilità, stiamo solo attenti a non permettere che la fruibilità incida sulla qualità, sulla spontaneità, sulla gioiosità, sulla profondità di un testo.

La questione è cercare di non farsi assuefare da letture virtuali, monotone e fredde. Permettere di ascoltare a tutti è un grandissimo passo avanti.

La questione è fare un ulteriore passo avanti per rendere le letture meno fredde, si potrebbe iniziare dal renderle rispettose di accenti e punteggiature (sono fiduciosa).

La questione è anche etica. Sappiamo che l’infallibilità non esiste, o meglio, non è così scontata. Cosa accadrebbe se l’IA andasse in tilt? Se scriviamo qualcosa che può ferire, che può portare a incomprensioni, abbiamo pur sempre la possibilità di chiarire, di motivare e il buon senso tra esseri umani aiuta ad appianare i contrasti. Senza questo, il pericolo è di intaccare l’etica con automatismi di scrittura, e ricordo, di lettura. Attivi sono i dibattiti sul diritto d’autore di un testo dell’IA…

Ma a chi ci rivolgiamo se abbiamo qualcosa da “ridire”? Già mi immagino l’andirivieni di mail verso … Chi? Verso… Cosa?

La questione è: va benissimo tutto, ma non perdiamo in toto l’umanità che si riflette nella scrittura e nella lettura.