Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Rumi, la via del cuore

di Francesca Pacini

 Ci sono stanze che vivono altrove. Non vivono all’esterno ma dentro di noi. Fra loro, una stanza particolare si apre a una dimensione più vasta, che per i mistici non ha nome e confini. Le parole di Rumi ancora oggi ne indicano la via…

 di Francesca Pacini

“Non legare il cuore a nessuna dimora, perché soffrirai quando te la strapperanno via.”

Rumi

Nel Medioevo, in Turchia, mentre da noi l’Inquisizione bruciava le streghe, in Persia un mistico cercava Dio dentro sé stesso, andando oltre ogni definizione, ogni appartenenza.

“Io non sono Cristiano, né Ebreo, né Mago, né Musulmano. Io non sono dell’Occidente né dell’Oriente, né della terra né del mare. Non sono stato formato dalla natura né dalle sfere celesti; Né dalla terra, dall’acqua, dall’aria e dal fuoco.”

Nelle sue poesie, Rumi ha sempre cantato il cuore che si incendia trovando l’intima connessione con la fonte, con l’origine della vita stessa ( e della morte che ne è il complemento, il volto “altro” che ne definisce la possibilità stessa di essere in quanto esistenza).

Nel Mathnawi, la sua opera più affascinante e complessa, fiabe, racconti e parabole illuminano il cammino di chi cerca il cuore. Perché è il cuore mistico, quello che non ha epoche né culture né razze. Lo stesso cuore in cui sono affondati, per rinascere un grado diverso di elevazione, di consapevolezza, tutti i grandi mistici che hanno attraversato i secoli, come Francesco d’Assisi, Giovanni della Croce, Teresa d’Avila.

Si tratta di un cuore sapiente, che le tradizioni antiche hanno spesso collegato al Sole/Fuoco inteso come simbolo della sacralità, del divino. Di certo non è il cuore sentimentale dei drammi romantici, delle umane passioni. Ẻ piuttosto un Cuore, con la C maiuscola ad indicarne l’essenza che da ontologica diventa trascendente. Chi si occupa di meditazione conosce bene l’importanza di questo centro energetico particolare, che vibra proprio “accanto”, e dentro, l’organo fisico che ne rappresenta la dimensione materico/emozionale.

Di certo è interessante osservare come molti studi scientifici che studiano il campo elettromagnetico rilevano come davvero il campo generato dal cuore sia molto più intenso, e forte, di quello generato dal cervello (per informazioni approfondite basta visitare il sito www.hearthmat.org ed esplorare le tecniche digitali utilizzate, con i risultati degli esperimenti). Ed è proprio l’energia del campo cardiaco a influenzare chi si trova accanto al soggetto umano che lo sta emanando.

Insomma, oggi stiamo arrivando a dare evidenza scientifica a ciò che Rumi, e altri prima di lui, avevano individuato come luogo speciale.

Sì, perché le tecniche di meditazione sul “centro cuore” sono state usate dai primi cristiani ( i Padri del deserto) dagli yogin, passando attraverso i tibetani e arrivando allo stesso istituto di ricerca americano, Hertmath  organisation, che attraverso la concentrazione su cuore sperimenta lo sgorgare di una saggezza che diventa “maestra”, e che viene da una dimensione molto più profonda, e abissale, di quella che usiamo con i sensi ordinari.

Ed è come se fosse una parte antica, e sapiente, a suggerire, proprio attraverso il cuore, la direzione più giusta per ogni intuizione, ogni gesto, ogni scelta.

Ed ecco che il cuore è la più bella delle stanze che possiamo abitare.

Abitare nel proprio cuore non è impresa facile, anche senza voler toccare le vette dei mistici, anche solo con l’idea di avvicinarsi per conoscerlo un po’ attraverso una qualunque forma di meditazione, senza per forza dover cercare un’etichetta – e un’intenzione – spirituale.

E oggi più che mai la necessità di tornare al cuore è un’urgenza, un imperativo.

Intorno a noi, un mondo troppo “mentale”, troppo specializzato, troppo digitale sta riempiendo di ombre l’intero pianeta, ombre collettive nelle quali ognuno di noi versa la sua.

La stanza del cuore è la stanza più difficile, certamente.

Quella in cui ci togliamo tutto, proprio tutto, esattamente come fa il viaggiatore che arriva al deserto (che non a caso  è il luogo dell’anima, geograficamente e metaforicamente).

Spogliarsi per creare intimità con parti sconosciute di noi non è certo facile.

Anzi, è difficilissimo.

Ma si può tentare. Anche solo per arrivare a qualche pausa di silenzio fra un pensiero e l’altro, molto simile a quei “momenti di essere” di cui scriveva Virginia Woolf.

Una stanza tutta per sé, scriveva.

Il cuore è la nostra stanza più segreta, quella in cui fiorisce il giardino dell’anima nostra. Che non ha bisogno di una connotazione religiosa, o spirituale.

Ognuno, almeno una volta nella vita, ha provato quel brivido d’infinito, quella sensazione misteriosa di partecipazione a qualcosa di molto più vasto della nostra carne e dei nostri pensieri. Non abbiamo bisogno di credere in nulla se non nella vita. Questo cuore appartiene a religiosi, laici e perfino atei. Non ha etichette, non si lascia ingabbiare. Non divide, unisce.

E magari un giorno smetteremo anche di giudicare, più consapevoli delle parole di Rumi:

“Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù”.