Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Io sono la contessa

Io sono la contessa

Cinzia Giordano

Newton Compton Editori

 

di Valentine Damer

 

Il titolo è a dir poco perentorio. Ed è proprio questo l’aspetto che mi ha invitato a prendere il libro, senza leggerne quarte di copertina o prestare particolare attenzione alla mano da cui ha preso forma.

Pagina dopo pagina si è presentata la personalità celata dietro all’immagine di copertina, che rappresenta una donna, vestita di rosso, in posa di preghiera, ma a guardarla meglio, riflessiva. Una riflessione che, dopo la lettura, comprendo non appartenere alla meditazione; gli occhi chiusi sono specchio di un insieme fatto di strategia, di fragilità, di compostezza, di testardaggine, di coraggio, di libertà.

Lei è Matilde di Canossa e la penna di Cinzia Giorgio scorre nel romanzo storico presentandola attraverso capitoli che a tratti hanno del romantico, del “rosa”, per poi catapultare il tutto in quello che è veramente stata la storia, con tutte le battaglie, le durezze, le sconfitte, i dolori.

Un ritratto di guerriera al femminile, di una ragazza che segue le impronte del padre Bonifacio, che sa mettere da parte la delicatezza per essere fredda, spietata, ma per uno scopo: difendersi e difendere il proprio regno. E non si tratta di una proprietà esclusivamente territoriale, si tratta di salvaguardare il valore che una donna ha verso il proprio popolo.

Matilde sa ascoltare i nemici, li sa mettere a nudo ed è paziente nell’attendere il momento più opportuno alla loro disfatta. Con la stessa tenacia e abilità, è capace di ascoltare i battiti del cuore, sia che parlino di coraggio, sia che esprimano paura, o che siano semplicemente voce dell’amore. Il destino, comune un tempo ai più, la vuole sposa a un uomo che le appartiene solo in quanto tassello di strategie dinastiche. Ed è questa una delle sue sconfitte, condividere una parte della propria vita con un uomo che certo la desidera, ma solo ed esclusivamente per i possedimenti contenuti nel nome Canossa. Riesce per brevi istanti a tenere tra le mani il dolce e unico frutto del matrimonio spinto, voluto e desiderato da tutti, tranne che da lei. Nasce la piccola Beatrice, che ha il diritto di vivere solo pochi istanti. Un trauma che apre il romanzo e una fragilità femminile che, poi, si scopre divenire forza e ancora di Matilde. Al suo fianco si muovono altre figure che la sostengono, la stimolano, non sempre l’appoggiano e nei contrasti diventano leali maestri di vita. Appare il monaco Ildebrando, che diventerà poi Papa Gregorio VII e sarà protagonista di un pezzo di storia che vede Matilde soffrire nuovamente, per il sentimento di amore, forse platonico (il più puro) che prova verso l’abate, il quale si mostra fedelissimo al proprio cammino spirituale. Sarà lei, donna e guerriera, a trarlo in salvo, facendo scudo ai suoi sentimenti per mantenere una freddezza utile e necessaria sul campo di battaglia.

 

Matilde soffre per la passione che le smuove il cugino, poi divenuto imperatore, Enrico. Li lega un affetto di gioventù che si tramuta da adulti in una passione fisica, con pieghe di sentimento vero, ma anche qui la vita la porta a doversi difendere da colui che ambisce solo ed esclusivamente a ottenere territori e proprietà. Cinzia Giorgio svela l’umanità di Matilde, ne porta in luce la fragilità che appartiene all’essere umano, e dà voce anche a quelle che sono le intenzioni puramente fisiche, il piacere carnale che la contessa, accanto alla voglia di libertà di giustizia, sente di dover soddisfare.

Io sono la contessa parla anche di lealtà tra donne. Caterina la si incontra nelle stanze in cui Matilde depone gli abiti di Contessa, con la C maiuscola, e diviene solo la contessa Matilde. Un’amicizia stretta, vera, che oggi giorno vale veramente un tesoro. Caterina è la sua “serva”, un posto che riveste solo perché all’interno di una struttura sociale, in realtà è la fida consigliera di questa donna, la persona che racchiude in sé tutta l’abilità di cura, di magia che la tradizione accompagna all’aggettivo femminile. Le sue erbe, i suoi unguenti sono ulteriori strumenti e fidi compagni di Matilde.

Nelle ultime pagine si legge: “[…] Mi rendo conto, a mano a mano che procedo in questo mio scritto, di essere stata una donna alquanto bizzarra. Agivo sempre di testa mia e non mi lasciavo intimidire da nessuno, fossero papi o imperatori[…] Eppure, nella mia sfera più intima e privata, non ero felice. Non si trattava di fortuna, ma di conseguenze dei miei desideri di libertà[…]”.

Una frase che racchiude tutta la personalità di Matilde di Canossa, a cui anche l’autrice, nella nota finale, dedica un pensiero: “[…] Ho imparato da amare questa donna così libera, bella e piena di vita, ma anche troppo sola. Non si perdona mai la libertà di pensiero e di azione. Oggi come allora[…]”.