Rivista bimestrale di cultura e costume Registrazione presso il Tribunale di Roma nr. 170/2012 dell'11/06/2012

Best seller

di Marco Lucchesi

9 maggio 2024

 

Stasera ho conosciuto la ragazza più bella del mondo. Cioè, almeno tra quelle che ho incontrato finora. Anche nei film è difficile vederne di così belle. Poi ognuno ha i suoi gusti, e ok, ma ci sono delle cose su cui non si può tanto discutere, secondo me. Come la pizza, o Cristiano Ronaldo. Voglio dire, magari il calcio non ti piace, però lo capisci subito che quello è un campione.

Almeno, io la penso così.

Stessa cosa per Giada, la ragazza di stasera. Ognuno ha i suoi gusti, ci mancherebbe, ma non si può dire che non sia bellissima – ha anche quel neo vicino alla bocca, proprio come Marilyn.

Io ero molto agitato. Lo sai, non sono tanto abituato a parlare con le ragazze, poi c’erano quei suoi amici, e avevo paura che Ferd facesse la cacca davanti a tutti.

Ah, lo sai che non aveva il reggiseno? Io cercavo di non guardare, ma si vedeva tutto, e lei non si vergognava. Anzi, forse le faceva piacere, perché ha proprio un bel seno, dico davvero.

Volevo solo dirti questo – che ho parlato con una ragazza bellissima, non delle sue tette – ma ti racconto bene domani. Volevo solo aggiornarti, ecco.

 

Ora mi metto a letto, che è già tardi. Cià cià. Buonanotte.

 

 

10 maggio 2024

 

Ho provato a ripassare di lì stasera, ma Giada non c’era, e nemmeno i suoi amici. E non erano neanche all’altro locale, quello nel parco.

Almeno ho tutto il tempo di raccontarti di ieri, come ti avevo promesso.

 

Eravamo usciti per la passeggiata di Ferd. Erano le undici più o meno, e in questo periodo i locali sono ancora pieni a quell’ora, quando non piove.

A me piace passare in mezzo ai dehors e osservare la gente che sta lì a chiacchierare e bere, soprattutto le coppie: cerco di indovinare se sono innamorati, al primo appuntamento, se vivono già insieme, o cose del genere. È bello con loro, perché di solito non si accorgono quando li guardi.

Stavo tenendo d’occhio un ragazzo con la brillantina che fumava e sorrideva a una ragazza carina, rossa, molto truccata. Era molto sicuro di sé, e avrei scommesso che se la sarebbe portata a casa alla fine.

Poi Giada ha iniziato a parlare (io non sono sicuro che abbiamo detto proprio queste parole eh, però più o meno sì; ah, e poi non lo sapevo ancora che si chiamava Giada, né che era bella, però la voce mi è piaciuta subito). Era dietro di me, insieme a degli amici, nella calca all’ingresso di un bar.

“Come si chiama il cane?”

Volevo andarmene, ma Ferd si era piantato a terra. Qualcuno rideva.

“Ma ciao bello, ciao!”

All’inizio le ho dato solo un’occhiata. Ma poi l’ho guardata meglio, e credo di aver fatto una faccia strana, perché i suoi amici hanno riso di nuovo.

“Ma sei un coccolone! Allora? Come si chiama?”

“Ferd.”

L’amica si è girata per dire qualcosa agli altri.

“Ferd?” ha ripetuto Giada.

Io non l’ho ripetuto. Anche lei ridacchiava, ed è stato lì che ho pensato che doveva essere la ragazza più bella del mondo.

“È un bel nome. Però sa un po’ di nonno, no? Nonno Feeerd! Senti?”, hanno riso tutti, tranne me.

“Non lo so, non mi sembra. È per i Franz Ferdinand”, ho detto io, scandendo il nome.

“Aaah, ho capito, certo”, ha detto sgranando un po’ gli occhi e sorridendo all’amica. “Vi abbiamo visto passare un po’ di volte. Cosa fate tu e Ferd di bello?”

“Facciamo la passeggiatina, sai… Per Ferd.”

“Certo. E dopo?”

“E dopo festa!” ha detto uno di quelli, con la giacca jeans e una clip nell’orecchio, mettendosi a pacioccare il muso di Ferd.

Io non sapevo cosa dire. Avevo paura di balbettare.

“Noi andiamo al Famara tra un po’, venite anche voi?”

“Sì sì, certo. Lo conosco. A volte ci passiamo davanti, quando andiamo al parco.”

Avevo iniziato a balbettare. L’amica si era coperta il profilo coi capelli, per non farsi vedere che rideva. Ma io non ci faccio più tanto caso a queste cose. E poi Giada non stava ridendo, gli altri potevano fare quello che volevano.

“Allora vieni! Ferd sarà contento, no?”

Ho guardato l’orologio “Va bene, però non posso stare molto.”

“Facciamo solo un salto, vai tra” ha detto quello con la clip nell’orecchio.

“Non farai tardi, te lo prometto” ha detto Giada, e per poco non cascavo a terra.

Dovevo respirare piano. Ho guardato di nuovo il tizio con la brillantina e la rossa. La bottiglia era quasi finita, e le loro gambe si sfioravano sotto al tavolo.

Mi sono chiesto se anche Giada sarebbe venuta un giorno a casa mia.

“Li conosci?” ha detto a un certo punto, dietro il mio orecchio.

“No, no. Chi?”. Mi sono girato, e ho sentito il suo profumo.

“Quelli, i due tamarri. Facevi una faccia!”

“Ah, no, no. Non li avevo neanche visti.”

“Ooookeeiii” ha detto lei, e le sono uscite le fossette mentre si girava un po’ di lato, verso gli amici. “Che dite, si va?”

 

Dovevamo proprio sembrare due piccioncini, perché gli altri continuavano a guardarci e a parlottare tra loro. Io ero contento, ma mi sudavano le mani e Ferd tirava da tutte le parti.

È lì che ho scoperto il suo nome. Mi ha detto anche che si stava per laureare in filosofia, però aveva deciso di diventare attrice. Sarebbe andata a studiare a Roma, ma doveva ancora fare domanda. A lei non importava molto della scuola in realtà, bastava farsi i contatti giusti, mi diceva, e avere personalità. Se ce l’avevano fatta le altre ce l’avrebbe fatta anche lei, diceva.

Mi piaceva l’idea dell’attrice. Anche se andava a Roma avremmo potuto sentirci ogni giorno, pensavo, e sarei andato a vedere tutti i suoi spettacoli.

Forse la mamma mi farà anche andare a trovarla qualche weekend. Sarà contenta quando saprà che mi sono innamorato. Almeno, credo.

 

“E tu invece?”

Eravamo in piedi, davanti al bar. Avevano preso dei cocktail. Io volevo delle patatine e un Estathé alla pesca, ma hanno insistito che lo provassi con un po’ di vodka. Però con il guinzaglio era un casino. Così uno di loro si è offerto di tenere Ferd. Ma io non lo lascio tenere a nessuno. Forse a Giada sì, ma lei non me lo ha chiesto. Così gli ho dato le patatine invece, e non le ho più riviste.

“Cosa?”

“Cosa fai? Studi, lavori…?”

Stavo per dire una bugia, ma ho deciso di no, perché non è una cosa bella da fare, e comunque l’avrebbe potuto scoprire.

“La scuola l’ho finita, ma ancora non ho deciso bene.”

“E che fai tutto il giorno?”

“Noi… noi usciamo tanto. Poi do una mano alla mamma… Sai, la spesa, le pulizie… queste cose.”

“Aaahhh, certo. Vivi con i tuoi quindi?”

“No, solo con la mamma. Ogni tanto c’è anche Oriano, ma non è mio papà. Lui non lo so dov’è.”

La gente ci passava vicino, addosso, e dovevamo stringerci. A me girava un po’ la testa, e il fumo delle sigarette mi bruciava la gola.

“Meglio così, non ci pensare. Tanto son tutti delle merde”, ha detto uno coi baffetti, succhiando il cocktail dalla cannuccia.

“Ma che cazzo però, su con la vita ragà!”, ha sbraitato l’amica bionda, spalmata addosso a uno con un lungo impermeabile.

“Weee, calma Elenina, non agitiamoci, su.” Anche Giada biascicava un pochettino.

“Ho capito, ho capito… ma così è una presa a male!”

“Ma sì dai, parliamo un po’, ci confidiamo. Ci sta ogni tanto, no?”. Poi, rivolta a me: “Senti, ma tu non hai un hobby, o qualcosa del genere?”

“Un hobby?”

“Ma sì! Che ne so io, far foto, disegnare…”

“I francobolli? Secondo me lui è uno da francobolli!”

Ci ho pensato un po’ su. Nel frattempo Giada ha salutato un ragazzo molto alto, gli ha dato due baci e poi ha sorriso e fatto di no con la testa, dopo che lui si è chinato per dirle qualcosa all’orecchio.

“Mi piace ascoltare la musica a letto con le cuffie, poi mi piace la Juve, e passeggiare con Ferd per il parco, o in collina”, ho detto quando quello se n’è andato.

“Okeeei, ma qualcosa di tuo, che fai da solo?”

“Ehehe, lo so io!” ha detto l’amica, facendo un brutto gesto. Gli altri ridevano, e anche Giada, ma poco, e poi le ha detto di finirla, dandole uno schiaffetto sul braccio.

Si sono messi in mezzo degli altri ragazzi. Uno mi ha versato un po’ di birra addosso, ma non se n’è accorto. Giada parlava con uno di quelli, coprendosi la bocca col bicchiere quando rideva.

Io ero stanco e mi pareva di oscillare. Ho guardato l’orologio. C’era tanta gente che passava e si fermava, e a un certo punto Giada era lontana. Volevo salutarla, forse mi avrebbe accompagnato, e io avrei potuto baciarla. O forse era meglio aspettare. Comunque dovevo salutarla.

Sono andato in bagno, ma c’era la coda e Ferd leccava per terra, e dopo un po’ me ne sono andato. Quando sono tornato non li ho più visti, e ho deciso di farla fuori da qualche parte.

“Eccoli!” ha fatto uno.

“Ma dove vi eravate cacciati? Non vi abbiamo più visti!” ha detto Giada.

“Sono andato in bagno, c’era la coda”, ho detto.

“Senti noi andiamo al Boyler, ci danno uno strappo. È stato un piacere conoscerti… tanto ci rivediamo, ok?”

“Aspetta, ci ho pensato.”

“A cosa?”

“Al mio hobby. Mi piace scrivere, ho un diario. Cioè ne ho tanti ormai, ho iniziato a otto anni, e scrivo tutti i giorni.”

“Dai Già, andiamoo!”

“Sì sì ora andiamo”, ha detto. “Senti devo andare. Comunque bravo, lo vedi? Continua a scrivere, ok?” L’amica l’ha presa per una manica, tirandola via. Gli altri si erano già incamminati.

“Ok” le ho detto, rimanendo lì. “Buona serata allora, ci vediamo.”

Giada era a braccetto con la bionda. Ridacchiavano, e tutte e due strisciavano gli scarponi, facendo vibrare i sassolini sulla stradina.

“Sì, a presto!” ha detto, senza girarsi. “Scrivi un libro, un best seller! Così diventi famoso anche tu!”

 

Mentre tornavo ho pensato che era proprio un’idea magnifica, non è vero? Pensa che bello! Diventerò uno scrittore conosciuto da tutti, magari anche regista un giorno, chi lo sa? E lei sarà la mia musa, proprio come la Farrow e Allen!

Oggi l’ho chiesto anche alla palla magica, che ha detto rifai la domanda più tardi; così gliel’ho richiesto, e mi ha detto le prospettive sono buone!

 

Ok ora bisogna andare a dormire, abbiamo fatto di nuovo tardi. Cià cià. Buonanotte.

 

 

11 maggio 2024

 

Ho trovato l’idea per il romanzo! Vuoi che te la racconti?

 

Allora c’è questo ragazzo che è buono, ma non ha tanti amici. A scuola lo prendono in giro, e c’è un bullo che non lo lascia mai in pace. Un giorno il papà, che gli vuole molto bene, capisce che è triste. Allora, dato che lui in realtà è un supereroe (però ancora non si sa quale), decide di insegnargli a combattere e diventa fortissimo, così la prima volta che torna a scuola affronta il bullo e gli dà una bella lezione.

Ma il preside della scuola in realtà è un super-cattivo, e quando vede il ragazzo combattere capisce che è un supereroe. Poi vede che in cortile una ragazza bellissima va a ringraziarlo perché nessuno sopportava più quel bullo, e lui diventa tutto rosso e il preside capisce che si è innamorato. Così il preside decide di organizzare una gita per tutta la scuola, magari in Transilvania o qualcosa del genere, per poter catturare la ragazza e rubare i super poteri del ragazzo, perché il suo potere è proprio questo.

Quando il preside mette in atto il suo piano il ragazzo chiama suo papà, che in realtà è Superman e arriva in un attimo! Ma il cattivo è molto forte e veloce e gli inizia a rubare i suoi poteri. Ecco, questa è la scena più importante: il cattivo con una mano stringe la gola di Superman che non può difendersi, e con l’altro braccio sta per stritolare la ragazza. Ma proprio un attimo prima che la ragazza soffochi e Superman perda tutti i suoi super poteri, il ragazzo gli tira un cazzotto con tutta la forza che ha, costringendolo a mollare gli altri due, e poi lo blocca con una presa mentre arrivano tutti i suoi compagni di scuola che chiamano la polizia e fanno arrestare il preside.

Il ragazzo alla fine diventa famosissimo, si sposa con la ragazza e capisce che non ha bisogno di nessun super potere, perché basta allenarsi e credere in sé stessi (proprio come dice Giada!). Poi c’è già suo papà che è Superman, quindi non è che servano tanti supereroi. E così teniamo uno spiraglio aperto per il seguito magari.

Oppure no, non lo so ancora, ci penserò poi. Magari ne parlerò con Giada. Sì, sono sicuro che lei potrà darmi degli ottimi consigli.

 

Spero ti sia piaciuto. Ora vado, la mamma mi chiama. Cià cià. Buonanotte.

 

 

12 maggio 2024

 

Oggi Oriano è venuto dopo pranzo, e non se n’è ancora andato.

Lo odio.

È arrivato con dei regali per me e la mamma. Ma io credo che sono tutte cose che gli danno al lavoro e lui non sa che farsene, quindi non sono dei veri regali.

Anche oggi volevano che me ne andassi. Io gli ho detto che avevo da fare, ma non ho voluto dirgli del libro. La mamma si è arrabbiata e mi ha detto di non fare storie. Io anche mi sono arrabbiato e così lei mi ha dato uno schiaffo e poi mi ha tirato forte da un orecchio. Io ho iniziato a piangere, e alla fine lei mi ha dato venti euro per il gelato, ma ho dovuto prometterle di stare fuori fino a sera. Poi mi ha detto di lavarmi la faccia e mi ha dato un bacio sulla guancia rossa.

 

Siamo tornati solo adesso. Loro stanno litigando. La mamma vuole che lui rimanga a dormire qui, ma lui dice che deve svegliarsi molto presto e deve ancora prepararsi. La mamma non gli crede, e neanche io, ma sono contento che se ne vada.

 

Sono stanco. Scusami se oggi non ti ho raccontato niente di bello. Ora mi metto le cuffie e provo a dormire. Cià cià. Buonanotte.

 

 

13 maggio 2024

 

La mamma stamattina mi ha chiamato con la voce dolce, mi ha chiesto se potevo stare con lei. Io in realtà volevo andare avanti con il libro, ma era molto triste, e un po’ anche io. Così le ho preparato la crema di caffè, ma non quella che fanno al bar e sembra un gelato. È una crema che si fa mescolando il primissimo goccio di caffè insieme allo zucchero, fino a che non spariscono tutti i granelli.

“Pulcino, così mi vizi però”, mi ha detto tirandosi su.

Io ho posato sul comodino il vassoio con il pane tostato, la marmellata, il caffè con la crema e la spremuta d’arancia, e l’ho aiutata a sistemarsi i cuscini dietro la schiena.

“E tu non mangi?”, mi ha chiesto.

Io le ho detto che avevo mangiato i cereali, ma in realtà avevo fatto colazione con le Kinder Delice e il resto del caffè. Sai come la pensa lei sulle merendine. Ma tanto la spesa la faccio io, e non mi chiede quasi mai di controllare lo scontrino.

“Hai fatto di nuovo bruciare il pane. Ma dico, vuoi stare attento? Non è mica tanto difficile.”

“Scusa mamma. Te lo rifaccio.”

“Non voglio che me lo rifai, voglio che impari a fare le cose come si deve! Dammi qua, dammi, che poi il caffè si fredda. Neanche il pane, santo cielo!”. Si è messa il vassoio sulle gambe, e ha raddrizzato il cucchiaino e spostato il bicchiere, con gesti precisi. “Sei grande ormai, lo capisci che non posso mica starti dietro per ogni minima cosa?”

Ho fatto un cenno con la testa.

“Devi imparare a cavartela, altrimenti come farai quando non ci sarò più?”

Non ho risposto. Guardavo il letto. Le coperte erano tutte stropicciate, e mandavano un odore forte.

“Non puoi continuare così. Sei grande ormai, devi trovarti un lavoro, pensare al futuro… Insomma, iniziare a prenderti le tue responsabilità! Santo cielo, io volevo godermi una giornata tranquilla, e invece tu mi fai subito agitare.”

Ma non era arrabbiata davvero. È che si preoccupa per me. Ha preso la tazzina e mi ha chiesto se era da girare. Io ho fatto un cenno con la testa e lei ha socchiuso gli occhi, facendo un piccolo mugugno, prima di assaggiarlo.

“È buono?”

“Buonino. Almeno questo sono riuscita ad insegnartelo. Su, vieni qui, e dai un bel bacio alla tua mamma. Ah, santa pazienza!”

Ho fatto come mi ha detto, poi le ho chiesto di nuovo se voleva dell’altro pane. Lei non ha risposto. Ha continuato a fare colazione, senza guardarmi. Io invece la guardavo. Non so se te l’ho mai detto, ma mia mamma mangia come una principessa – cioè, io non ho mai visto una principessa fare colazione, ma me la immagino più o meno così –, facendo bocconi piccoli piccoli, con gli occhi abbassati, e senza far rumore. Mi fa venire la pelle d’oca guardarla mangiare, ma non nel senso brutto, anzi.

“Io ho deciso che lavoro voglio fare!” mi è uscito di bocca, quando mi ha fatto cenno di prendere il vassoio.

“Ah sì? E quale?”

Me l’ha chiesto in un modo che mi ha fatto pentire di averglielo detto.

“Allora?”

“Non lo so, devo ancora pensarci bene, ma con un po’ di tempo forse potrei imparare… O forse mi sbaglio…”

“Insomma! Cosa? Dimmelo e basta!”. Ha alzato la voce, e le pupille hanno iniziato a scattare un po’ a destra e sinistra.

“Vorrei scrivere mamma. Un romanzo.”

Sembrava stupita, o forse si chiedeva se avevo detto la prima cosa che mi era passata per la testa. Ho continuato.

“Un best seller. Ho anche guardato su Google, sai? Ci vuole un po’ di tempo, magari un paio d’anni, ma si possono fare un sacco di soldi, davvero, e si diventa anche famosi.”

“Vorresti fare lo scrittore quindi? È questa la tua idea, scrivere un libro?”

Forse non avevo scelto il momento giusto, neanche questa volta.

“E chi te l’ha messa in testa questa bella idea?”

“Nessuno.”

“L’hai deciso da solo, così, da un momento all’altro?”

“Non è da un momento all’altro.”

“Cosa vuol dire non è da un momento all’altro?”

“Se non te ne sei accorta io scrivo ogni giorno sul mio diario!”

“Allora adesso tutti quelli con un diario di merda possono fare gli scrittori secondo te? Rispondimi, ti ho fatto una domanda.”

“No, non credo.”

“E invece tu sì, che ci hai messo nove anni a finire le superiori?”

“Però i temi li facevo bene.”

“Non controbattere! Lo sai che non lo sopporto!” Si è tirata un po’ giù le coperte e legata male i capelli, con delle ciocche che rimanevano di fuori.

“Te ne esci sempre con delle idee del cazzo, e poi pretendi pure di avere ragione! È gente istruita quella, che ha fatto l’università! Ci vogliono anni di lavoro, e talento! Solo un cretino come te può decidere di diventare uno scrittore da un giorno all’altro.”

Mentre parlava continuava a sfregarsi i capelli via dalla faccia.

“E chi ti dice a te che non ho talento? Tu non ne sai niente, non hai mai letto neanche un libro!”

 

Io lo sapevo che non dovevo dire così. Ma alle volte non riesco tanto a controllarmi. Mi ha detto che non devo permettermi, che sono un disgraziato e altre cose del genere. Ha cercato di tirarmi uno schiaffo, ma si è fatta male colpendomi il gomito e allora si è arrabbiata davvero, e quando è così, lo sai, non si controlla più. Questa volta mi ha anche morso, non succedeva da tanto.

Io lo so che non lo fa a posta, che non è lei, ma il suo spiritello, come dice sempre. Tutti ce l’abbiamo, e ogni tanto esce, non si può fare niente, solo aspettare che finisca, come con i brutti sogni.

Ho urlato forte e sono corso in camera mia. Quando piango Ferd mi vuole ancora più bene: sta con le orecchie basse e sculetta come quando era cucciolo, e non si stacca da me finché non smetto. Poi mi porta un gioco, per farmi distrarre.

Tu e lui siete i miei migliori amici, anche se non parlate.

 

Alla fine la mamma è venuta in camera mia. Non era più arrabbiata, e io avevo finito di piangere. Ero a letto, su un fianco, e lei si è sdraiata dietro di me, abbracciandomi.

“Pulcino mio, come stai?”

“Sto bene mamma.”

“Ti ho fatto male?”

“Un pochino.”

“Scusami pulcino, scusami tanto. Dove ti fa male, qui? Adesso ti do un bacino, e vedrai che passa tutto, eh? Però tu non devi fare arrabbiare così la mamma, lo sai che non si risponde così.”

“Lo so, scusami. Mi dispiace tanto.”

“Anche a me dispiace. Ma adesso non ci pensiamo più. Facciamo così: ora prepari un bel bagno per la mamma, con tutti i sali, e dopo che le hai insaponato la schiena porti un po’ Ferd al parco, che c’è il sole oggi, poi passi dal greco e prendi tutto quello che ti va. Che ne dici?”

“Non vuoi venire anche tu con noi?”

Mi ha carezzato i riccioli, e dato un bacio sull’attaccatura dei capelli alla base della nuca.

“Mi piacerebbe, ma con questo tempo… Non vorrei prendermi qualcosa. Lo sai come sono deboluccia.”

“Sì mamma, hai ragione. Magari al mio compleanno, se starai bene?”

“Ci proverò, te lo prometto.”

“Mamma.”

“Dimmi pulcino.”

“Tu credi che io sia stupido, vero?”

“Oh no che non lo credo, non lo penserei mai.” Mi ha abbracciato più forte.

“Perché non posso fare lo scrittore allora?”

Potevo sentire il petto che si gonfiava e sgonfiava sulla mia schiena.

“Perché a me piacerebbe tanto. Davvero, dico sul serio questa volta.”

Ha tolto il braccio, e si è tirata su.

“Ma non preferiresti un lavoro diverso, con altre persone magari? O il dog sitter! Non volevi fare il dog sitter? Tu ci sai fare con gli animali.”

Avevo paura che si arrabbiasse di nuovo, e non ho risposto.

“Va bene, ho capito. Però questa volta dovrai impegnarti.”

Mi son girato verso di lei. “Mi impegnerò moltissimo.”

“E se non ci riuscirai mi prometti che non ci rimarrai male?”

“Promesso.”

“E che penserai a qualcos’altro nel frattempo?”

“Sì mamma.”

Si è messa sul bordo del letto, poggiando i piedi a terra.

“Va bene. Ora va a preparami il bagno, per favore.”

 

Ma la mamma non ha voluto che la aiutassi, e dopo il bagno è rimasta in stanza tutto il giorno. Io ho mangiato anche il suo Souvlaki, perché lei non aveva tanta fame. E poi credo che abbiamo dormito tutti e due il pomeriggio – cioè, io ho dormito, e credo anche lei, perché la tv era spenta – e io sono uscito di nuovo con Ferd.

Ho pensato tanto a Giada oggi. Vorrei dirle che ormai è deciso, che anche la mamma è d’accordo.

Però non ho ancora scritto niente. Domani mi sveglierò presto e lavorerò tutto il giorno.  Cià cià. Buonanotte.

 

 

14 maggio 2024

 

L’ho iniziato! Volevo far vedere alla mamma quello che ho scritto, anche se non è molto finora, ma non si sentiva bene neanche oggi.

Comunque è difficile, sai? Ho deciso che quando non mi viene una parola lascio uno spazio vuoto, ma poi alla fine quando l’ho riletto non mi ricordavo cosa volevo scrivere. Devo trovare un altro modo. Forse la palla lo sa, ma devo capire come chiederglielo.

 

Ora ti saluto, che sta iniziando la partita. Cià cià. Buonanotte.

 

 

 

 

 

 

15 maggio 2024

 

Oggi la mamma si è alzata e ha voluto fare colazione insieme. Io sono stato attento a non bruciare il pane e le è piaciuta molto la marmellata di lamponi che mi ha consigliato la signora del negozio.

“Allora, come sta andando il tuo libro, l’hai già iniziato?”

“Sì mamma, ho già scritto quasi tre pagine!”

“Addirittura!”

Io ci sono rimasto un po’ male, perché ho capito che mi prendeva in giro.

“Va beh, quello che conta è la qualità, giusto?”, ha detto mettendo nel mio piatto un pezzo di pane troppo abbrustolito per lei. “E quando si potrà leggere?”

“Quando vuoi mamma, anche adesso.”

“Oh no, adesso non posso. Ho un sacco di cose da fare. A proposito, nel pomeriggio passerà Oriano, per un salutino. Bisogna un po’ rassettare casa, è uno schifo. Da quant’è che non pulisci i bagni, eh?”

“Ma mamma…”

“Mamma cosa?”

“È che io, ecco, vorrei andare avanti con il libro.”

“Lo sapevo! Ti sei trovato la scusa per non fare più nulla, eh? E adesso vorrai anche la donna delle pulizie, giusto? O dovrò fare io i lavori di casa? Allora, ti ho fatto una domanda!”

“No mamma.”

“Li conosci i miei problemi, non posso affaticarmi, e non dovrei neanche agitarmi! Ma con te sarebbe un miracolo.”

“Scusa mamma.”

“Eh, scusa scusa, sempre scusa! Io sono stufa delle tue scuse. Non ce la faccio più, lo capisci almeno questo, eh? Deficiente! NON-CE-LA-FACCIO-PIÙ!”

Io sono rimasto a guardare il pezzo di pane abbrustolito, e non mi sembrava tanto male, però ormai non avevo più fame. Quando la mamma mi dice così a volte mi arrabbio, altre mi sento solo molto triste, ma comunque la fame mi passa sempre. L’unica cosa che riesco a mangiare, dopo un po’, è il gelato.

 

Ho messo a posto la cucina. Poi ho portato fuori Ferd, e quando sono tornato ho fatto i bagni, la cucina, i vetri, e ho passato il folletto dappertutto.

Alla fine la mamma mi ha dato venti euro, e mi ha detto di andare al parco con Ferd, perché lei e Oriano dovevano parlare, ma prima dovevo mettere a posto anche camera sua.

 

Sono rimasto fuori fino quasi a mezzanotte, girando per il quartiere, ma Giada non l’ho vista. C’erano un ragazzo e una ragazza molto giovani seduti sul marciapiede, tra le macchine parcheggiate. La mamma dice che quelli sono i drogati, e possono essere molto pericolosi. Ma a me sembravano solo deboli, e tristi. Mi hanno chiesto se avevo una sigaretta e qualche spicciolo. Gli ho dato i dodici euro che mi rimanevano, lei mi ha ringraziato e lui carezzava Ferd come se non avesse mai visto un cane prima. Alla fine si sono addormentati, e son tornato a casa.

 

Per fortuna Oriano non c’è. Speriamo domani di riuscire a scrivere.

Vedrai che quando sarò famoso la mamma non mi tratterà più a quel modo. Almeno, lo spero.

Cià cià. Buonanotte.

 

 

16 maggio 2024

 

Che bella giornata è stata.

La mamma è rimasta in camera sua tutto il mattino, così ho scritto altre due pagine! Poi a pranzo ha voluto che andassi a comprare il pollo e le patate della rosticceria. Mi ha chiesto scusa per essersi arrabbiata ieri, e mi ha detto che sono contenti che finalmente abbia trovato qualcosa da fare, lei e Oriano.

“Anche Oriano scriveva, lo sai?” mi ha detto, facendo gli occhi grandi. “Pensa, tanti anni che ci conosciamo e l’ho scoperto solo ieri! Potrebbe darti una mano, qualche consiglio… non è una bellissima coincidenza?”

A me l’idea di fargli leggere il mio libro non mi piace tanto. Ma la mamma era così contenta che proprio non volevo contrariarla, e le ho detto che andava bene.

Poi mi ha scritto la lista della spesa, e mi ha detto che potevo prendere anche qualche merendina, se volevo.

 

Poi sono uscito con Ferd. Abbiamo girato tutta la sera, ma Giada non l’ho vista. Volevo tanto ringraziarla, perché è grazie a lei se la mamma oggi stava bene, e d’ora in poi andrà molto meglio tra di noi, secondo me. Ho deciso che la prossima volta la inviterò a casa, così la mamma la conoscerà, e sarà felicissima quando le dirò che mi sono innamorato. Certo, non è ancora la mia ragazza. Ma aspetta che legga il libro!

 

Sai, ho la sensazione che domani sarà una giornata ancora più bella. Ho anche chiesto alla palla magica se rivedrò Giada, e mi ha detto le prospettive sono buone!

Cià cià, buonanotte.

 

 

17 maggio 2024

 

E invece è andata male.

 

Stavo scrivendo quando è arrivato Oriano. La mamma mi ha chiamato perché voleva che lo salutassi. Ferd è rimasto in camera mia. A Oriano non piacciono i cani, e a dire il vero anche a Ferd Oriano non piace per nulla.

“Eccolo qui il nostro scrittore!” Si è sfilato la giacca e ha fatto l’occhiolino alla mamma.

“Cosa fai, non saluti?” ha detto lei.

“Ciao.” Gli ho preso la giacca. È in alcantara, e mi sta anche bene. Gliela vorrei proprio fregare, ma ha il colletto nero e puzza di fumo.

“Allora, come sta andando il romanzo?”

“Ho quasi finito il primo capitolo.”

Ha fatto schioccare la lingua contro il palato – una cosa che odio.

“Ma è fantastico! Perché non ce lo leggi allora, eh? Dopo mangiato, magari”, ha detto la mamma, prendendolo sottobraccio.

“Ma cara, così lo metti in imbarazzo! Non è mica la lettera per babbo natale, giusto?”, e giù a ridere, mentre la mamma mostrava i denti, per niente divertita. “Quando se la sentirà sarà lui a dircelo. Non bisogna forzare un artista, giusto?”.

Mi ha dato un pugnetto sulla spalla. Io stavo lì a guardarli, sempre con quella giacca sozza in mano, e una gran voglia di dargli un cazzotto in faccia.

“Va bene, allora aspetteremo”, ha detto la mamma, ciondolando un po’ la testa. “Però dobbiamo festeggiare. Ah, ma oggi è venerdì!”

“Già, venerdì diciassette…” e si è messo le mani lì. Pensa di essere divertente, ma è solo un buzzurro – e uno schifoso.

“Non facciamo i superstiziosi! Tanto son tutte scemenze.”

“Ne riparliamo a fine giornata” ha detto lui, e mi ha fatto l’occhiolino.

Per una volta aveva ragione.

“Finiscila!” ha detto la mamma, dandogli una pacchetta sul braccio. “Sentite, perché non facciamo un po’ di pesce per pranzo? Vongole, gamberetti, e qualche trancio di spada, eh?”

“Ah, io non dico di no!”

Poi, rivolta a me: “E tornando passa dai francesi e prendi del bianco… qualcosa di fresco, ma niente che costi meno di venti – anzi, trenta, meglio. Comprane un paio, e anche una bottiglia di champagne! Che ne dite? Fatti consigliare, tanto io non ci capisco nulla. O forse tu hai qualche preferenza?”

“Prendi del Dom Pérignon, dai retta”, e ha fatto di nuovo fatto quel suono con la lingua.

“E Dom Pérignon sia!”

“Passa la giacca, ragazzo.”

“Oh no, non ci pensare nemmeno, sei un ospite!”

“Ma su cara, almeno il vino…”

“Non se ne parla!” ha tagliato corto la mamma. Ma tanto era una finta, non ha mai offerto niente quello spilorcio.

“Vai, su! La carta credo sia nella borsetta di pelle, o forse è vicina al computer… non ricordo, quanto sono sbadata! Controlla, da bravo. Noi nel frattempo ci rilassiamo un po’. Quando torni chiamaci, così iniziamo a fare un brindisi mentre cuoce la pasta, va bene? Tanto si fa tutto veloce, no?”

“Sì, penso di sì”, ho detto.

“Che bravo il mio ometto!”, e mi ha dato un bacio.

Io so che era contenta solo perché c’era Oriano, ma è comunque bello vederla così.

“Quando diventerai famoso le prenderai un bel maggiordomo a tua madre, eh? Com’era già..? Ambrogio, ho un certo languorino!

Credo che le abbia dato un pizzicotto, perché lei ha fatto uno scatto e una specie di squittio.

Ma io stavo già andandomene, per fortuna.

 

Dopo pranzo ho provato a rimettermi a scrivere, ma la mamma rideva per ogni stronzata di Oriano, e parlavano a voce alta, sopra la tv.

Mi sono buttato a letto, con in cuffia i System. Quando ha smesso di piovere ho preso Ferd e mi sono messo gli scarponi.

Loro erano ancora in salone, avevano tirato fuori i liquori di papà e la mamma mi ha detto di stare un po’ fuori, che Oriano le doveva parlare di affari. Io lo so che non è mai vero quando dice così, anche se faccio finta di niente. Lo so bene cosa fanno invece.

 

Abbiamo attraversato il parco, il ponte, e siamo saliti in collina. Ha cominciato a piovigginare, ma quasi non si capiva la differenza da prima, quando c’erano le foglie grosse e verdi che gocciolavano. Ferd è corso dietro a un paio di scoiattoli, ma per fortuna non li prende mai. Iniziavo a stare meglio, tra le piantine fradicie e i rami mezzi marci sul sentiero, circondato dagli uccellini e le cornacchie, e l’odore del fango.

Siamo arrivati alla chiesetta. Anche se ci hanno messo le transenne e degli altri cartelli, qualcuno dentro ci aveva fatto la cacca, e ho dovuto buttarci sopra dei calcinacci. Poi sono rimasto lì fino a quando ha iniziato a fare buio. Ogni tanto Ferd veniva a mugolare un po’, io allora lo carezzavo, e lui tornava ai suoi scoiattoli.

 

Il venerdì i locali sono sempre pieni, anche se piove.

La gente, con cappucci e ombrelli, si affrettava a cercare un buco da qualche parte, o aspettava accalcata sotto i balconi o nei dehors che si liberasse un tavolo. Fumavano nervosi, con le braccia mezze incrociate, lamentandosi del tempo e del parcheggio che non c’è mai, e facendosi aggiornare al telefono dai ritardatari.

E poi l’ho vista. Era con un ragazzo – uno che l’altra volta non c’era -, seduta al bancone di un locale in penombra, con poche lampadine grosse e dalla luce gialla, appese qua e là al soffitto con lunghi fili neri.

“Ciao Giada.” Era di spalle, e ho parlato troppo piano nel locale pieno.

“Ciao Giada”, ho ripetuto, e lei si è girata.

“Ciao”, ha detto, storcendo un po’ la bocca mentre mi squadrava.

“Ciao”, ha fatto l’altro, piegandosi in avanti sullo sgabello. “André, piacere.”

Io non l’ho calcolato. “Ci siamo conosciuti la settimana scorsa, qui dietro.”

Lei mi ha guardato come se fossi un alieno, o qualcosa del genere. Poi ha alzato le braccia. “Ma siii, certo! E c’era anche lui, ora ricordo… Beh, più o meno! Era giovedì scorso, che poi abbiamo fatto serata al Boyler…” ha detto, rivolta ad André.

“Ah sì, vabbè!” e le ha fatto un sorriso da intenditore.

“Lascia stare infatti… E comunque”, rivolta di nuovo a me, “come siete conciati? Ti conviene darti un’asciugata, sai?”

Era ancora più bella dell’altra volta. Aveva i capelli raccolti, e un’ombra di rossetto scuro a far risaltare gli occhi blu.

“Io… volevo dirti che… ho già finito il primo capitolo. Cioè, quasi.”

Ha annuito con la testa, ma si vedeva che non aveva idea di cosa parlassi.

“Il mio libro”, ho detto. “Mi hai detto tu di scriverlo.”

“Ah sì?! Guarda, scusami, ma eravamo tutti un po’ sbronzi…”

“Abbiamo parlato tanto, e tu mi hai detto che volevi andare a Roma e diventare un’attrice famosa, e che dovevo scrivere un best seller, così anche io diventavo famoso, e tu potevi fare la protagonista, e io l’ho fatto, e anche la mamma era contenta! Ma come fai a non ricordare?!”

Mentre parlavo ha iniziato a sgranare gli occhi, e ha messo una mano sulla gamba di André. Io allora ho iniziato ad alzare la voce, perché c’era molta confusione, e tutta quella situazione mi stava facendo innervosire.

“Ehi amico, è tutto a posto, non c’è bisogno di agitarsi”, ha detto quello.

Ho urlato ancora qualcosa, e mi pare che si siano girati tutti nel locale, o almeno quelli intorno. Poi ho strattonato Giada dai capelli, perché con quella faccetta impaurita mi stava proprio facendo incazzare, e Ferd ha iniziato ad abbaiare.

Non so bene cosa sia successo, ma credo che qualcuno l’abbia tenuto dal guinzaglio, mentre Andrè e il barista mi buttavano fuori.

 

Ferd sotto la pioggia non sapeva se abbaiare alla porta o leccarmi il lato della faccia che non stava sul marciapiedi, e faceva un po l’uno e un po’ l’altro.

Avrei tanto voluto chiederle scusa prima di andarmene, ma ho pensato che era meglio lasciar perdere. Non credo potrò più farlo.

 

Quando sono arrivato a casa le luci erano accese. Bottiglie e bicchieri erano rimasti sul tavolo in cucina, insieme alle cicche strabordanti dal posacenere e a una vestaglia abbandonata sul divano. Dalla stanza non veniva alcun rumore.

 

Sulla scrivania, in camera mia, il manoscritto non c’era.

Ho iniziato a cercarlo dappertutto. Volevo farlo a pezzi. Niente. Il diario, questo cazzo di diario era al suo posto, e il manoscritto doveva essere qui accanto, sulla scrivania, ma niente. Sparito. Ho anche chiesto a quella fottuta palla dove fosse finito. Ho iniziato a sbatterla su e giù, tenendola con tutte e due le mani e continuando a farle la stessa domanda. Devo essere andato avanti per un po’, perché alla fine mi formicolavano le dita.

Fai affidamento su chi ti vuole bene – mi ha detto a un certo punto, e ho sentito un tuffo al cuore.

 

Sono entrato in punta di piedi. La mamma era senza vestaglia, e le coperte le lasciavano scoperta una coscia, liscia e chiara, e un seno, bello come quello di una ragazza. Lui grugniva e sbuffava, con la pancia pelosa che andava su e giù.

Il mio manoscritto era spiegazzato a terra.

 

Ho cacciato un urlo, e loro si sono svegliati. Hanno cercato di coprirsi e bofonchiato qualcosa – credo mi abbiano ordinato di andarmene. Ma ormai ero partito, lo sai com’è quando mi prende così.

Però questa volta l’ho fatta grossa.

Io avevo ancora la palla in mano. E poi lui – questo me lo ricordo bene – a un certo punto ha colpito forte Ferd sul muso, con un pugno. Non ci ho più visto.

 

Fa ridere però. Ora che non m’interessava più diventare famoso finirò sul telegiornale, e forse anche su Chi l’ha visto.

Beh, comunque è proprio meglio che andiamo, io e Ferd.

 

Cià cià. Buonanotte.