La Stanza di Virginia è un luogo di incontro al femminile, aperto – ovviamente – anche a quegli uomini sufficientemente sensibili da trovarsi a proprio agio in una “stanza creativa” piuttosto che in uno stadio. Femminile, dicevamo. Non femminista. Nessun “ista”, nessun “ismo”, nessun pregiudizio. Essere liberi a volte sembra una conquista impossibile. Specialmente oggi, pervasi, come siamo, dal “pensiero unico, globalizzato, che comporta narrazioni sempre più vicine ai greggi che ai liberi pensatori. La società “liquida” sta diventando così liquida da far affogare, al suo interno, la capacità di riflettere, di approfondire con consapevolezza critica e attenzione alla complessità del reale.
Diventa sempre più urgente la necessità di raccontare in modo diverso, magari con leggerezza ma senza superficialità (assecondando quella “gravità senza peso” che auspicava Calvino), cercando le increspature del pensiero invece della bonaccia in cui scompare il vento delle idee. Essere scomodi, essere liberi, essere diversi dalla tentazione di una facile omologazione è una sfida che richiede coraggio.
E, mentre il mondo diventa sempre più “social” attraverso immagini e scritture esibite in una pornografia dell’intimità che diventa subito condivisione, la stanza intesa come metafora di uno spazio innanzitutto interiore significa sottrarsi al vuoto che divampa ovunque per cercare invece il senso e la direzione di un’esistenza che sia colma di significati. Ricominciando proprio da quella “stanza tutta per sé” che Virginia Woolf ha vissuto, difeso, usato per la propria libertà espressiva come donna e come scrittrice. A volte ci dimentichiamo quanto sia importante avere la nostra stanza. Riempiamo i social di selfie inutili, citazioni rubate, fonti improbabili (quando leggo “dal web” non riesco a non provare una leggera stizza, un moto di risentimento per questa modalità che sembra individuare nel web una realtà plausibile, univoca, mentre si tratta invece di un immenso blob in cui occorre discriminare).
Ecco, tornare invece ad abitare la stanza del nostro intimo sentire, dei nostri giardini segreti su camminano sogni e memorie, ci sottrae forse un poco al disarmonico chiasso delle strade, dei social, di un mondo urlato, mostrato, vissuto con pugno di ferro in cui si “perde la tenerezza”. Tornare alla nostra fragilità. al dialogo con le nostre parti interiori, è un ritorno a casa ogni volta che ci perdiamo nella tempesta. Non c’è nessuna Penelope ad attenderci. Siamo noi il nostro Ulisse e la nostra Penelope. Dobbiamo illuminare i nostri mondi interiori, portare luce dove c’è ombra, e continuare a camminare nell’esistenza cercando di scansare il banale. La nostra stanza va sempre pulita. Dobbiamo aprire le finestre, gettare via ciò che non serve più, sottrarre al tempo la polvere e le memorie. Curiosi, man mano, di misurare i passi compiuti. E quelli in cui invece siamo inciampati.
Virginia Woolf ci ha insegnato che basta avere una stanza tutta per sé per vivere il processo creativo che si fa pensiero, parola e carne.
Questa è la nostra stanza, una stanza per raccogliere idee, riflettere, scrivere, raccontare il mondo. Bisogna restituire dignità al femminile e non solo: intorno a noi, l’atteggiamento superficiale, qualunquista, frenetico di un mondo che sembra sempre più accartocciarsi su sè stesso va combattuto con la cultura. Che non è esibizione di nozionismi ma reale coscienza che allarga il pensiero. Virginia, in questo, ci è stata maestra.
La nostra stanza è una redazione vera e propria, un laboratorio in cui confluiscono articoli, inchieste, interviste, racconti, video e iniziative comunitarie.
Una stanza accogliente, per tutte quelle viaggiatrici e quei viaggiatori instancabili, capaci di esplorare il mondo con stupore e profondità (e anche ironia), attraversando geografie fisiche e metaforiche.
Perché la vera essenza delle cose è molto più vicina di quanto pensiamo. Vive in bilico tra la mente e il cuore.